Giuseppe Roma
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Verso la ripresa/ Il cammino delle riforme e la logica del “like”

di Giuseppe Roma
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Sabato 9 Ottobre 2021, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 00:16

Sono generalmente tre le risposte che la politica offre per la risoluzione di problemi ricorrenti, ogni qualvolta si impongono drammaticamente all’opinione pubblica: provvedimenti normativi, nuovi stanziamenti finanziari e promessa di assunzioni nel pubblico impiego. La regolazione può significare nuove leggi, che però nessuno prevede in anticipo come potranno essere attuate e cosa potranno comportare per i soggetti coinvolti. Quanto alle risorse finanziarie e al personale, spesso effettivamente carenti, non sono quasi mai risolutivi se non si pone mano con decisione all’organizzazione del servizio interessato. Non è che riempiendo di carburante il serbatoio di un’auto con il motore “grippato” la si mette in condizione di marciare. Sia ben chiaro: vi sono non pochi settori della pubblica amministrazione con carenze d’organico e, negli anni del rigore, effettivamente le risorse pubbliche scarseggiavano. Ma, in genere, se le cose non sempre funzionano, spesso dipende da fattori organizzativi più che da mancanza di risorse. Infatti, la nostra spesa pubblica si colloca nella media europea, un po’ più bassa degli scandinavi e un po’ più alta dei frugali. Più che del gioco politico sui provvedimenti, subiamo la mancanza di un’azione continuativa della pubblica amministrazione che non a caso gli inglesi chiamano establishment, cioè apparato stabile. E ce ne stiamo accorgendo nell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. 

Qualche esempio può venire utile per evidenziare come nuove leggi non bastano a risolvere problemi complessi. Stiamo gradatamente uscendo dall’emergenza pandemica, e nel Paese si respira un’aria positiva, d’impegno a mettercela tutta per tornare a crescere. 

Resta, però, un problema serio riguardo al lavoro visto che abbiamo ancora da recuperare circa seicentomila occupati persi a causa di Covid-19, mentre molteplici crisi aziendali rendono immediatamente visibile le criticità del nostro sistema di protezione sociale. Non mancano esempi di altri paesi europei che dispongono di strutture dedicate soprattutto a ricollocare chi perde il lavoro o chi cerca una prima occupazione. A forme d’intervento “passive” e perennemente assistenziali (come viene usata da noi la cassa integrazione) affiancano un sistema costituito da funzionari competenti che seguono le persone in tutto il percorso lavorativo, sostenendole con indennità nell’emergenza, ma soprattutto orientandone la formazione nel tempo e offrendo strumenti di contatto con i datori di lavoro, della cui fiducia godono in quanto garanti della qualità dei lavoratori da assumere o riassumere.

Da tempo è allo studio anche in Italia un progetto di questo tipo denominato Garanzia Occupabilità dei lavoratori per il quali servirà certo nuovo personale, ma soprattutto un’idea concreta di gestione, un piano ove localizzare le sedi operative, quali incentivi e sanzioni per il lavoratore-utente e quali per dirigenti e operatori della rete nazionale per il lavoro. Magari il meccanismo andrebbe sperimentato in aree campione prima di emanare norme e direttive. Siamo funestati da incidenti mortali sui luoghi di lavoro e vanno sicuramente potenziati i servizi ispettivi per controllare e sanzionare le aziende che si dimostrano inadempienti o semplicemente tiepide rispetto al problema della sicurezza. 

Ma le cronache, da sempre, ci restituiscono situazioni che evidenziano una sottovalutazione del pericolo anche indipendentemente dalla prevalenza del lucro sulla sicurezza. Piccoli imprenditori intrappolati con i dipendenti nelle esalazioni di gas di cisterne pericolose, trattori ribaltati, tetti di edifici crollati addosso a capi mastro troppo confidenti nella propria capacità di ristrutturare alloggi. Anche in questo caso, per la prevenzione e la promozione di una cultura della sicurezza sul lavoro oltre ai controlli e regole il più possibili precise e non formali, bisogna sensibilizzare e convincere quel tessuto di piccole imprese, di operatori non sempre adeguatamente preparati a esercitare la loro attività in sicurezza. E, infine, ci si propone l’erculea prova di rifare il Catasto per eliminare storture e distribuire più equamente il carico fiscale, con l’obiettivo anche di stanate l’oltre un milione di immobili fantasma, che non pagano nulla in quanto sconosciuti all’agenzia del territorio. 

Ma siamo certi che serve rifare tutto, mettere mano a 76 milioni di fascicoli per essere più aderenti alla realtà dei nostri giorni? E se usassimo Google Earth incrociato con le mappe catastali non potremmo intanto individuare rapidamente gli evasori e adeguare le situazioni di privilegio? Alla politica, ai media e persino alla Commissione Europea piacciono tanto le riforme, le nuove leggi, il tira-e-molla degli accordi parlamentari che pongono i leader sulla ribalta. La nostra esperienza ci dice che in gran parte producono “l’eterno rinvio” nella risoluzione dei problemi. L’oscuro lavoro delle strutture efficienti, il cambiamento attraverso processi continui, il rigore nel rispettare le regole emanate purtroppo non fanno “like”. Ma cambiano le cose.
 

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