Giuseppe Roma
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Dietro le baby gang/ I nostri ragazzi e la difficoltà di comunicare con loro

di Giuseppe Roma
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Martedì 8 Febbraio 2022, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 00:15

In un Paese, come il nostro, sempre più a rischio demografico, i giovani si avviano a diventare una risorsa scarsa, per giunta con problemi ormai cronici di esclusione dal lavoro e dallo studio. Su questo sfondo prendono forma paure ancora più gravi, per frequenti episodi di disgregazione e di violenze che hanno come protagonisti gang di adolescenti, di giovanissimi e giovanissime. 

Secondo le stime diffuse in occasione della Giornata contro il bullismo ben il 16% degli adolescenti ha effettuato, in Italia, qualche atto di vandalismo e il 6,5% dei minori appartiene ad una banda violenta. Una quota non molto lontana dai valori degli Stati Uniti (dall’8% al 15% a seconda delle città) e degli altri paesi europei dove, tuttavia, la criminalità minorile registra valori molto superiori a quelli italiani. Da Nord a Sud crescono preoccupazione e allarme sociale rispetto a questo fenomeno. Comitati e associazioni denunciano nei loro quartieri una movida con risse, situazioni fuori controllo anche per un uso disinvolto di alcol e stupefacenti persino da parte di quattordicenni o poco più. Il passaggio all’età adulta comporta il rischio della devianza soprattutto in contesti di disgregazione familiare, di deprivazione culturale e di esclusione sociale. Fattori che certo possono incidere in questa fase di crisi anche economica. 

Nell’ultimo anno i minori con meno di 17 anni in povertà assoluta sono cresciuti dall’11% al 14%. Tuttavia, numerosi episodi di violenza e di stupro collettivo evidenziano l’assoluta trasversalità delle provenienze sociali, l’aggregazione di ricchi e poveri attorno a identici comportamenti aggressivi. Più che vere e proprie gang permanenti, radicate in strade o quartieri, si tratta di gruppi spontanei e improvvisati, che reagiscono con atti di prevaricazione all’assenza di valori e strumenti adeguati ad affrontare le sfide del presente.

Alcuni esperti attribuiscono alle chiusure per fronteggiare la pandemia questa forma di riappropriazione violenta delle piazze, quasi una rivolta strisciante di giovani cui hanno anche affibbiato un nuovo neologismo. Sarebbero i “pandemials”. 

In realtà, le limitazioni attuali hanno contribuito ad accelerare fenomeni già presenti prima di Covid-19. Alle due fonti tradizionali di riferimento per i giovani, la famiglia e la scuola, se ne sono da tempo affiancate altre due e cioè la rete e il gruppo dei pari. Le prime due fanno fatica a relazionarsi alle nuove generazioni aggiornando la propria funzione formativa secondo i canoni di un’epoca totalmente cambiata. Conosciamo le difficoltà che incontra la famiglia a essere vero luogo di ascolto e dialogo, di protezione ma anche di orientamento alla responsabilità. E anche la scuola, primo contatto esterno alla famiglia, fa fatica ad adeguare i propri modelli a un mondo completamente diverso da quello di decenni fa di cui conserva ancora l’imprinting. La scuola così come è conformata risulta spesso scarsamente comprensibile per un adolescente. Quindi, il mondo degli adulti, che è quello reale, ha difficoltà a fronteggiare quello straripante del virtuale, dei social, dei videogiochi. Il rimbalzo di false notizie, di aggressività verbale, di immagini truci non può che sortire effetti deleteri su chi vive con disagio il contesto familiare e scolastico. Introdurre una cultura del controllo e del limite nel digitale, anche a rischio di ridurre i profitti, come sta facendo Facebook, è certo una misura urgente ed essenziale. Ma solo aggiornando e rafforzando le culture prevalenti nei luoghi ancora più vicini ai giovani, casa e scuola, potremmo ridurre le tendenze a prevaricare e aprire uno squarcio di fiducia e di futuro.
 

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