Giuseppe Vegas
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Il nodo risparmio/ Gli interessi che bloccano il mercato dei capitali

di Giuseppe Vegas
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Sabato 20 Aprile 2024, 23:57

Mario Draghi non ha fatto in tempo a preannunciare il contenuto del rapporto commissionatogli da Ursula von der Leyen ed Enrico Letta a presentare il suo “Molto più di un mercato”, che subito sono partiti i distinguo e le fini analisi per individuare differenze e contrapposizioni tra i due. Certo si tratta delle consuete tattiche preelettorali. Tuttavia, non può non destare preoccupazione che in questo modo si finisce per rendere più incerto il futuro dell’Unione, soprattutto sotto il suo profilo istituzionale. Con il rischio di trascurare la necessità di farla procedere rapidamente verso una più forte integrazione.
Rischio che gli ultimi avvenimenti rendono più concreto. Pochi giorni fa’, il progetto di rendere effettiva la Capital Markets Union, cioè l’unificazione del mercato dei capitali, varato nel lontano 2014, è stato sostanzialmente affossato dal Consiglio Europeo.
Ma partiamo dall’inizio. Dopo la crisi finanziaria del primo decennio del secolo, l’Europa decise di rendere più solidi i mercati bancario e finanziario, unificando la legislazione di riferimento ed introducendo un forte coordinamento nei controlli e nella vigilanza. Nacque un nuovo istituto, l’Unione bancaria, che ha consentito di accrescere la solidità del sistema del credito e di garantire al contempo più efficacemente i risparmiatori. All’Unione bancaria si sarebbe dovuta affiancare anche quella dei mercati dei capitali. Ma i buoni propositi sono rimasti lettera morta.

Con conseguenze non irrilevanti. In primo luogo, perché la mancata unificazione del mercato finanziario europeo ha impedito di superare l’approccio bancocentrico, tuttora prevalente, in tema di finanziamento alle imprese. A differenza di quanto avviene, ad esempio Oltreoceano, da noi gli investimenti che provengono dal mercato risultano ancora sottodimensionati rispetto a quelli finanziati a debito attraverso il sistema creditizio.

Certamente, questo fenomeno dipende anche dal tradizionale legame che i risparmiatori hanno con le banche e dal fatto che il sistema, grazie soprattutto agli interventi della Banca Centrale Europea, è stato reso più solido. Tuttavia, l’ingente massa di risparmio che contraddistingue i mercati europei, non ha trovato, in questi anni, uno sbocco adeguato anche sotto il profilo del rendimento. In carenza di un efficiente mercato interno, molti capitali hanno preferito scegliere la strada dell’estero. Con la conseguenza che il flusso di denaro destinato al finanziamento delle imprese non è adeguato rispetto alle necessità di queste ultime. Soprattutto tenendo conto che viviamo in un’epoca nella quale è indispensabile che il sistema industriale venga modernizzato radicalmente, per poter competere con la rivoluzione tecnologica che sta caratterizzando l’attuale fase storica. Il mercato dei capitali europei, in mancanza di regole comuni che lo rendano competitivo rispetto a quelli degli altri continenti, quali, ad esempio quello nordamericano e quello cinese, non risulta sufficientemente attrattivo né nei confronti degli investitori internazionali, né, soprattutto, per quelli interni.

Stiamo dunque aspettando ormai da dieci anni una regolamentazione unitaria dei mercati finanziari, che applichi a tutti i produttori e i distributori i medesimi criteri di vigilanza e gli stessi controlli.

Solo con una regolamentazione unica che riguardi l’intero mercato si può creare una realtà efficiente e competitiva. Solo in questo modo si potrà evitare il perpetuarsi di posizioni di semi-monopolio o il verificarsi di veri e propri episodi di concorrenza sleale tra i diversi Stati dell’Unione. A differenza della situazione odierna, che consente alle imprese finanziarie di aggirare regole non gradite, grazie alla possibilità di scegliersi la giurisdizione di riferimento “a la carte”, quasi fosse il menù di un ristorante.

Ciò che è accaduto la scorsa settimana a Bruxelles è la manifestazione di una realtà diversa da quella sperata. Alcuni Stati “piccoli” si sono opposti alla realizzazione della Cmu come era stata pensata da quelli di maggiori dimensione, tra cui l’Italia, sulla base dell’assunto che, per tal via, ne sarebbe risultata limitata la libertà di ciascuno, e quindi il mercato interno sarebbe divenuto meno concorrenziale. Naturalmente si tratta di una posizione facilmente confutabile, in ragione del fatto che la concorrenza è garantita proprio dall’uguaglianza delle posizioni di partenza di ciascuno e non quando alcuni dei partecipanti al mercato possono adottare comportamenti di “free ride”, cioè di “scrocco” a danno degli altri. Questo sì a scapito della libera concorrenza e dei Paesi che tutelano con maggior rigore gli investitori.

Per far fonte a questo stallo, sembra voler prendere piede una proposta di mediazione, per consentire una regolamentazione differenziata tra i diversi Stati. Ma così non si risolve il problema, perché comunque resterebbero proprio quelle differenze di trattamento dei risparmiatori, che si vorrebbero combattere. Forse, una via di uscita ragionevole, che garantisca contemporaneamente libertà economica, salvaguardia degli investitori e efficienza del mercato, potrebbe essere quella di adottare un sistema di reciproci rapporti all’interno dell’Unione, tra Stati che adottano le regole della Cmu e gli altri, simile a quanto è avvenuto a seguito della Brexit. Prevedendo cioè che all’interno dell’Unione la distribuzione dei prodotti finanziari dei paesi che non intendono recepire le regole del mercato unico dei capitali possa avvenire negli altri solo a condizione che le imprese produttrici istituiscano nel luogo di vendita una loro sede, ovviamente sottoposta alle regole generali.

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