Federacciai, il presidente Antonio Gozzi. «Sull’acciaio verde l’Italia punta al primato mondiale»

«Entro dieci anni vogliamo arrivare a zero emissioni, in anticipo sugli altri. Per il 2024 ci aspettiamo una ripresa della domanda»

Federacciai, il presidente Antonio Gozzi. «Sull’acciaio verde l’Italia punta al primato mondiale»
di Giusy Franzese
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Venerdì 22 Dicembre 2023, 11:17

Lo scenario è positivo. Il 2024 potrebbe tornare a essere un anno molto buono per la siderurgia italiana. Prezzi dell’energia in calo, riduzione dell’inflazione, abbassamento dei tassi interesse, messa a terra dei cantieri del Pnrr: «Sono tutti elementi che potrebbero rappresentare un propellente per la ripresa del ciclo economico e quindi per la domanda di acciaio», spiega Antonio Gozzi, presidente di Federacciai. Ovviamente l’andamento delle due guerre - in Ucraina e in Medioriente - non è irrilevante. 


La siderurgia per l’Italia, secondo paese manifatturiero in Europa, è strategica. Nei fatti però sembra che - pezzetto dopo pezzetto - la tradizione siderurgica italiana si stia sfaldando.
«Questa è una lettura che si concentra solo sui punti di crisi, Taranto e Piombino, che sono meno del 15% della produzione italiana di acciaio. L’altro 85% è prodotto da una dozzina di aziende private tecnologicamente innovative, che utilizzano forni elettrici. Si tratta di una produzione altamente qualitativa e totalmente decarbonizzata. Da questo punto di vista la siderurgia italiana è un caso d’eccellenza mondiale». 
Ecco, appunto, decarbonizzazione e acciaio green: una sfida, una scommessa o una necessità? 
«Scommessa e necessità allo stesso tempo. Basti pensare che una tonnellata di acciaio prodotta da forno elettrico emette dieci volte meno CO2 della stessa tonnellata prodotta con altoforno e carbone. Con il nostro 85% di acciaio prodotto da forno elettrico, l’Italia parte in pole position per arrivare a emissioni zero. La nostra scommessa è di arrivare entro una decina di anni a essere la prima siderurgia completamente green del mondo. Abbiamo però bisogno di accelerare sulla energia di base decarbonizzata. Attualmente infatti il 60% di energia elettrica in Italia è ancora prodotta da combustibili fossili, soprattutto gas. Il nucleare di quarta generazione potrebbe risolvere, ma ne parliamo tra quindici anni. Dobbiamo spingere sulla ricerca e nel frattempo fare contratti a lungo termine con produttori di energia nucleare esteri, con la Francia ad esempio».
È quello che ha fatto l’azienda di cui lei è presidente, la Duferco, con il nuovo impianto di acciaio laminato, il più grande in Europa, alimentato al 100% da energia green?
«Si, per il nostro nuovo laminatoio abbiamo un contratto con un produttore piemontese di energia rinnovabile. Ma anche altre aziende stanno procedendo con contratti a lungo termine». 
Dopo due anni record, nel 2023 il comparto dell’acciaio ha visto scendere utili e consumo. Le scorte poi sono al livello più basso degli ultimi sei anni. È un segnale di scarsa fiducia delle imprese sull’andamento della domanda nel 2024? 
«È un comportamento ciclico, le scorte si gonfiano nel momento di prezzi al rialzo e il meccanismo è opposto quando i prezzi calano perché i clienti si aspettano prezzi sempre più bassi e rinviano gli acquisti. Ma quando le scorte sono praticamente a zero, i clienti sono obbligati a comprare, e i magazzini sono ormai quasi esauriti. Io penso che si avvicina il punto di svolta». 
Quindi è ottimista?
«La domanda di acciaio degli ultimi mesi è stata condizionata dagli alti tassi di interesse e dal rallentamento dell’economia generale. Ora, con l’inflazione che arretra, i tassi di interesse un po’ alla volta dovrebbero scendere. A parte la Cina che ha rallentato, il Sud Est asiatico cresce molto: Vietnam, Indonesia, Cambogia, Malesia, Corea. Credo che soprattutto nella seconda parte del 2024 e poi nel 2025 la prospettiva sia positiva».
Costo energia: cosa si aspetta?
«Il prezzo dell’energia in Europa è ancora legato al prezzo del gas, che è sceso fortemente. E salvo eventi eccezionali, non credo risalirà a breve. Non abbiamo più problemi di rifornimento. C’è un’offerta crescente nel bacino sud del Mediterraneo e una grande quantità di gas liquefatto viene da Stati Uniti e Quatar. Gli stoccaggi non sono mai stati così pieni. Sul fronte costo dell’energia l’Italia però, rispetto ai competitors, resta in sofferenza. Francesi, tedeschi e spagnoli pagano l’energia molto meno. Auspichiamo quindi una riduzione dei costi energetici per tutte le industrie italiane e una maggiore tutela del nostro sistema produttivo».
Il recente decreto energia ha migliorato la situazione?
«È la prima risposta con una misura strutturale che aiuta le aziende italiane ad avvicinarsi agli altri sistemi europei». 
Ex Ilva: anche un colosso mondiale come Arcelor Mittal non è riuscito a riportare i conti in ordine. Aveva ragione chi - ai tempi dell’aggiudicazione - temeva che Mittal non volesse risanare l’azienda ma avesse invece un piano preordinato per “togliere di mezzo” un concorrente?
«Non ho mai creduto al piano preordinato: Mittal vinse una gara internazionale, all’inizio inviò a Taranto bravi manager e ingegneri. Poi però il governo Conte e l’allora ministro Di Maio decisero di eliminare lo scudo penale per reati commessi da precedenti gestioni e da parte di Mittal è iniziato un progressivo disimpegno a partire dal ritiro del management». 
Ma secondo lei lo Stato ci deve mettere altri soldi, dopo i fiumi di risorse già erogate?
«Lo Stato deve decidere: se vuole trovare una soluzione transitoria per rimettere sul mercato l’impianto risanato, deve assumerne la responsabilità con tutto ciò che significa. Fare affidamento sul fatto che Mittal tenga aperto l’impianto mettendoci soldi suoi, vuol dire rincorrere le favole».
I sindacati chiedono al governo di estromettere il socio privato, di risanare il gruppo e poi cederlo nuovamente a soci privati questa volta però italiani. Ma ci sono davvero gruppi italiani interessati?
«In una situazione di discontinuità, di chiarezza e trasparenza - sui conti, sui debiti, sui contenziosi - credo che una partnership pubblico-privato potrebbe essere possibile.

In Italia ci sono gruppi come Arvedi o come Marcegaglia e altri che potrebbero dare una mano sull’Ilva, magari un po’ ridimensionata, con un piano industriale e finanziario chiaro. È ovvio che gli italiani non arrivano se Mittal, anche in minoranza, continua a nominare l’amministratore delegato».

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