Intelligenza Artificiale, l’anno decisivo per il sistema-Italia

Con la presidenza del G7 e nuovi investimenti nazionali ed europei il Paese vuole essere tra i protagonisti nello sviluppo di algoritmi hi-tech

Intelligenza Artificiale, l’anno decisivo per il sistema-Italia
di Giacomo Andreoli
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Venerdì 22 Dicembre 2023, 11:17 - Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio, 23:25

Il prossimo anno sarà cruciale per provare a rendere l’Italia un attore protagonista al livello internazionale sugli sviluppi dell’intelligenza artificiale. In attesa del primo regolamento europeo in materia (l’AI Act), il Paese già si muove, preparandosi a una presidenza del G7 che vede negli algoritmi del futuro uno dei punti principali di discussione. L’esplosione di applicazioni come Gemini e ChatGpt (creata da OpenAi), capaci di redigere articoli, poesie e traduzioni in pochi secondi, o come quelle in grado di ricreare suoni e immagini, la cosiddetta Ia generativa, hanno infatti rivelato a tutto il mondo il loro immenso potenziale, ma anche i rischi socio-economici che ne derivano. Almeno se il processo non viene controllato e guidato, magari con una tecnologia di proprietà europea, così da non essere succubi di Stati Uniti e Cina (oggi l’Ue investe sul settore 5 miliardi, contro i 10 cinesi e i 50 americani), garantendo al contempo standard etici elevati.
Il mercato italiano è già in fermento, con un giro d’affari che arriverà nel 2024 a 2,6 miliardi (6,6 nel 2027) e una previsione di circa 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro che potrebbero essere creati nei prossimi dieci anni in nove macro-settori (tra altamente tecnologici e quelli legati a servizi e cura). Il tutto in un contesto globale in cui, nei prossimi tre anni, l’82% delle grandi aziende (e il 70% dei ceo italiani) prevede un impatto positivo dell’AI sul proprio business e il 36% investirà almeno 1 milione di dollari a testa nell’intelligenza artificiale generativa. A prevederlo sono diversi report di Kearney, Ey, Accenture, Tim e Intesa Sanpaolo.

LE MOSSE DEL GOVERNO

Il mercato italiano dell’AI al momento è sostenuto principalmente dagli investimenti dei comparti finance, telecomunicazioni e IT, manifattura e retail. Ma il governo punta a stimolarne di nuovi. Entro metà 2024 arriverà un decreto del ministro delle Imprese, Adolfo Urso, che darà il via libera alla Fondazione italiana sull’AI. Sarà a Torino e dovrebbe partire tra marzo e aprile con i primi 20 milioni di fondi pubblici da investire nei settori automotive e spazio. Subito dopo, con i collegati alla legge di Bilancio, arriveranno centinaia di milioni per agevolazioni ad hoc come già fatto sulla microelettronica, anche per la creazione di nuove aziende con tecnologie innovative made in Italy. 
Non solo: l’Italia lavora con Francia e Germania, con cui è attivo un apposito coordinamento. I rispettivi fondi nazionali sull’Ia verranno integrati, forse coinvolgendo anche le banche private. Poi entro giugno potrebbe arrivare una legge quadro italiana, con l’introduzione di una sorta di “bollino anti-frode” per riconoscere e valutare i contenuti realizzati dagli algoritmi, contro video e testi fake. Ma anche test tecnici e obbligo di rendicontazione per provare a fermare cyber-criminali, terroristi e minacce biologiche per la salute pubblica, sul modello americano. 
Lo scorso ottobre, poi, è stato creato dal Dipartimento per la trasformazione digitale il Comitato di coordinamento per la strategia nazionale sull’Ia, guidato dal docente di informatica dell’università della Calabria, Gianluigi Greco e formato da 14 tra i massimi esperti nel settore in Italia. Metteranno nero su bianco la strategia italiana sull’Intelligenza artificiale già a gennaio. E ancora: sempre a ottobre è nata la Commissione sull’Ia per l’informazione, con la controversa guida dell’ex presidente della Corte Costituzionale, Giuliano Amato. Supporteranno lo sprint delle aziende, individuando opportunità e rischi.

LE ECCELLENZE

All’incontro con delegazioni di Francia e Germania dello scorso 30 ottobre al ministero delle Imprese hanno partecipato per l’Italia Bending Spoons, Oversonic Robotics, Iren e Leonardo. La prima nel 2024 punterà su ricerca e sviluppo, con un focus sull’AI generativa per i prodotti fotografici e video, come i già esistenti Remini e Splice. Oversonic Robotics, invece, dopo aver perfezionato il primo robot umanoide cognitivo per il lavoro industriale (che ora sarà sperimentato in ambito medico), continuerà il perfezionamento delle reti neurali proprietarie, alimentate dagli algoritmi intelligenti, così come il miglioramento dei sistemi di crittografia.
Leonardo vuole invece usare l’AI per velocizzare i processi industriali e, sfruttando le capacità predittive delle macchine, per innovare i velivoli civili e militari. Iren sui processi industriali si muoverà in maniera simile, sfruttando la computer vision, cioè la capacità degli algoritmi intelligenti di ricavare informazioni da immagini, video e altri tipi di dati. Quindi investirà su soluzioni hi-tech per trovare le perdite di acqua nelle reti idriche. Ma tra gli altri possibili impieghi dell’AI su cui c’è molto potenziale di crescita in Italia ci sono la Pubblica amministrazione, l’agricoltura, i trasporti, la medicina domiciliare e l’assistenza sanitaria. Proprio su quest’ultimo fronte l’azienda senese QuestIT ha sviluppato il primo avatar intelligente in grado di comprendere e produrre alla perfezione il linguaggio medico, per aiutare a combattere le patologie cardiovascolari. Sarà introdotto nel Massachusetts General Hospital, negli Usa, entro marzo.
Certo è che le aziende devono fare un passo avanti sulla valutazione del valore dell’AI all’interno del loro business: addirittura secondo Kearney il 32% tra le grandi imprese in tutto il mondo non lo fa sulle tecnologie generative.


GLI EFFETTI SULL’OCCUPAZIONE

Secondo Ey da qui al 2030 in Italia la domanda di lavoro, a causa dello sviluppo dell’Intelligenza artificiale, aumenterà nelle telecomunicazioni, nei servizi pubblici, nella chimica, ma anche nei servizi di cura, educazione, formazione e supporto all’occupazione. Tra i settori in cui si prevede che la domanda diminuirà ci sono la manifattura, l’industria, l’accoglienza turistica e nei ristoranti, ma anche banche e assicurazioni, che hanno da tempo intrapreso un percorso di ristrutturazione legato all’uso delle tecnologie dei dati. 
Quanto alle singole professioni, la crescita della domanda riguarderà profili diversi: dagli ingegneri e i fisici (+7%), agli analisti di mercato e gli psicologi del lavoro e della formazione (+3%). Ad essere più richiesti, però, saranno gli specialisti in: reti informatiche (+19,8%), sicurezza digitale (+16,9%) e relazioni pubbliche e dell’immagine (+15,6%). Su 793 professioni analizzate, calerà invece la domanda per 331 tra loro (il 41,7%). Complessivamente, poi, secondo Accenture, bisognerà riqualificare e potenziare le competenze digitali di circa il 60% della forza lavoro italiana, in particolare per le mansioni ripetitive che non richiedono un elevato grado di comunicazione interpersonale. Lavori come gli addetti ai macchinari nelle industrie, ma anche chi fa statistiche, lavora nel settore del credito, fa da assistente legale o amministrativo oppure i piccoli imprenditori nelle costruzioni, l’agricoltura e l’allevamento, sono a rischio di parziale o completa automazione. 
Per loro servirà creare una seconda vita professionale. Stanno nascendo, però, delle mansioni inedite, come il data scientist di settore (che combina conoscenze tecnologiche e non), il prompt engineer (che progetta sistemi avanzati di Ia generativa), l’architetto di infrastrutture Ia (per proteggere privacy e sicurezza dei dati) e lo specialista dell’Intelligenza artificiale responsabile (per lo sviluppo di pratiche etiche e sostenibili).
Questi cambiamenti però, senza ingenti investimenti in formazione, con nuovi percorsi specifici a scuola e all’università, riqualificazione di massa nelle aziende e nella Pa e centri di ricerca specializzati che integrino l’AI nei processi d’apprendimento, potrebbero aumentare il divario tra domanda e offerta di lavoro.

Secondo Ey, la quota di assunzioni che le imprese italiane giudicano difficili da realizzare entro il 2030 potrebbe superare di molto il 50% (ora è al 48%), anche perché se cambierà poco si prevede nei prossimi anni un maggiore disallineamento tra le competenze dei laureati e i lavori di primo impiego. 

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