No delle Casse ad Atlante 2: incognita aumenti in Borsa

No delle Casse ad Atlante 2: incognita aumenti in Borsa
di Rosario Dimito
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Giovedì 4 Agosto 2016, 08:53
Primum la stabilità, deinde la crescita. Il mantra dei Vigilanti europei non ammette deroghe. Così in arrivo ci sono altri 12-13 miliardi di aumenti di capitale (Mps e Unicredit), che si aggiungono ai 3,5 già effettuati (Banco, Vicenza e Veneto Banca) e ai 15,6 raccolti dal 2014 per non parlare di eventuali 28 miliardi di ricapitalizzazioni potenziali.

A gettare benzina sul fuoco dell'incertezza è anche la montagna di 88 miliardi di Npl netti da smaltire. Il governo ha messo in pista Atlante II partendo dalle necessità di Mps, ma fatica a raccogliere i fondi: le casse di previdenza che pure hanno valutato di versare 500 milioni, al momento di staccare l'assegno si sono tirate indietro avendo chiesto in cambio garanzie sul ritorno dell'investimento. Ora il governo pensa di tornare alla carica sulle banche estere: Cariparma, Bnl, Deutsche e Ing che però hanno già declinato. Finora avrebbe raccolto circa 1,6 miliardi, giusta la somma necessaria per i mezzanini di Siena. Ne servirebbe però almeno il doppio. Si fa strada l'ipotesi di chiedere a JpMorgan e Mediobanca di fare un bridge per anticipare i soldi.

I DIKTAT DI FRANCOFORTE
In un mercato che capitalizza 510 miliardi, le banche ne valgono 67, cioè pesano per il 13%. Ci sono timori che la rigidità dei regolatori imponga di adeguarsi al modello-Siena per quanto riguarda i crediti deteriorati. La crudeltà dei numeri spiega la volatilità di questi giorni dei titoli bancari e le prospettive che non fanno auspicare una fase di sereno. Infatti, come se non bastasse, gli operatori mettono nel conto i 10,4 miliardi di vendite di Npl sicuri sino a fine anno di Mps e Banco Popolare, quelle possibili di Vicenza e Veneto (3,7 miliardi totali) in un mercato che fa fatica ad allinearsi ai prezzi del salvataggio di Rocca Salimbeni: 33 cent nella cartolarizzazione con un riallineamento dei coverage sugli incagli, ora ribattezzati unlikely to pay secondo l'inglesismo targato Bce.
 
Applicando gli standard di Rocca Salimbeni, secondo calcoli attendibili, gli istituti italiani sarebbero chiamati a ulteriori 28 miliardi di rettifiche sui deteriorati, dei quali 19 sugli Npl e 9 sugli incagli. Sarebbe un impatto tremendo. Avrebbe potuto essere meno pesante. Se le rettifiche fossero avvenute nel 2015, il costo sarebbe stato di 20 miliardi perchè c'erano i deferred tax asset, cioè uno scudo fiscale sull'impatto delle svalutazioni sul patrimonio di vigilanza.

I 12-13 miliardi di capitale fresco da raccogliere in Borsa tra ottobre e gennaio 2017 per Mps e Unicredit farebbero salire la capitalizzazione totale delle banche a quota 80 miliardi. Per un gestore sarebbe un'esposizione sbilanciata in un portafoglio che cerca di mantenere in equilibrio con altri investimenti e che porterebbe pertanto, ad alleggerire le posizioni sulle altre banche. Ed è questo timore ad attizzare le tensioni di questi giorni che coinvolgono gli stessi istituti del consorzio di Siena. In questi frangenti si ricorre a protezioni mediante acquisto di put in operazioni cosiddette di delta hedging: acquisto o vendita del sottostante di una opzione come metodo di copertura dal rischio. Quindi le banche del pool, per coprirsi dal rischio inoptato, possono vendere sinteticamente a termine i titoli oppure acquistare opzioni put che obbligano la controparte a scaricare titoli sul mercato.

A queste dinamiche si aggiungono i calcoli sugli sconti delle nuove azioni. Quello di Mps ha un tetto massimo al 16% del terp, altrimenti il prezzo dei nuovi diritti sarebbe azzerato portando l'inoptato al 100%. Sulla carta, secondo le valutazioni degli analisti, lo sconto di Unicredit può arrivare fino al 62% teorico, anche se in realtà sarà molto meno. Nell'aumento da 7,5 miliardi del 2012 fu del 43%.
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