Un Atlante per i diritti delle donne, Joni Seager: «Queste le diseguaglianze nel mondo»

Joni Seager
di Maria Serena Patriarca
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Martedì 2 Giugno 2020, 18:32

Le donne sono le più attive sui social network, eppure la stragrande maggioranza dei dirigenti dei colossi del web è costituita da uomini.  É solo uno dei paradossi che emergono leggendo l’Atlante delle Donne, della geografa e attivista femminista Joni Seager. Si fanno tanti discorsi sull’uguaglianza di genere, ma ancora troppe realtà tangibili per realizzarla mancano all’appello. É l’allerta che lancia la Seager, esperta in geopolitica, ex preside della Facoltà di Studi Ambientali della York University di Toronto, oggi docente di Global Studies all’Università Bentley di Boston e consulente presso le Nazioni Unite su progetti di politica di genere e ambientale, nonché femminista convinta. É recentemente uscito anche in Italia il suo Women’s Atlas, ovvero l’Atlante delle Donne, il compendio più aggiornato e completo su fatti e cifre che fotografano il mondo femminile in tutte le sfaccettature in ogni paese del Pianeta. Dalla salute alla politica, dall’educazione scolastica al lavoro, passando per disuguaglianze, maternità, sessualità, alfabetizzazione, ricchezza, povertà, potere, diritti, femminismo.
 

 



Un accurato lavoro di analisi e ricerca, corredato da grafici, che mostra come le distanze da colmare tra l’universo maschile e quello femminile, specialmente in alcune zone della Terra, siano davvero una criticità urgente su cui fare focus e agire quanto prima. Cartine, infografiche e schede, sfogliando il volume, cercano di darci una chiave di lettura per comprendere un mondo in cui, ancora oggi, troppe donne subiscono violenze, spesso proprio da parte del partner, o non possono praticare alcuni sport perché a loro vietati, o sono costrette a interrompere gli studi per mancanza di politiche che tutelino la realtà femminile o, semplicemente, devono chiedere il permesso a un uomo per uscire di casa. Oggi, però, le donne hanno una marcia in più per riappropriarsi della loro dimensione e dei propri diritti. Di questo è convinta l’autrice quando sottolinea come le donne, in linea generale, sono più attive sui social network degli uomini: «un buon trampolino di lancio per dare voce alle problematiche e colmare il gap può arrivare dall’attivismo online». Naturalmente il web è un’arma a doppio taglio, e molte molestie nascono proprio in rete. Sarebbe fondamentale incrementare un’ottica più femminile dell’universo online. Eppure oltre il 70% della dirigenza di Facebook, Google e Twitter è composto da uomini. Fra le tematiche più scottanti analizzate in questo atlante del mondo femminile c’è senz’altro l’analfabetismo: due terzi degli analfabeti (circa 720 milioni di adulti) sono donne (pari a 520 milioni di donne che ancora oggi non sanno leggere), e nell’Africa Subsahariana e nell’Africa Meridionale il 50% delle donne sono analfabete. Ma anche il divario salariale e la difficoltà del genere femminile nel fare carriera (a parità di mansioni e ore di lavoro con gli uomini) vengono trattati in maniera capillare, e analizzati meticolosamente. Una nota di merito in questo caso va all’Islanda, primo paese al mondo, nel 2018, a rendere illegale il divario salariale di genere.

La stessa Islanda si è impegnata, entro il 2022, ad eliminare completamente questo divario. Conciliare carriera e famiglia, poi, resta ancora una sfida molto ardua per l’universo femminile. Interessante, inoltre, la sezione sulla “Politica del Corpo", che non troppo velatamente sferza una critica ai concorsi di bellezza più noti a livello internazionale. La teoria della Seager è che i format delle competizioni come Miss Mondo e Miss Universo siano impostati su una visione della bellezza sottomessa a canoni essenzialmente occidentali, in un’ottica di globalizzazione con cui un certo comparto di mondo mira a «fagocitarne» un altro, con fini economici che passano anche attraverso i canoni estetici femminili. Un esempio concreto? La Sierra Leone partecipò a Miss Universo per la prima volta nel 2017, ma la candidata dovette ritirarsi poiché non riuscì ad ottenere il visto d’ingresso per gli Usa. Altro punto cruciale esaminato nell’Atlante delle Donne sono le zone di guerra, partendo dal punto di vista (come ha sancito il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite) che le donne, i bambini e le bambine rappresentano i gruppi più colpiti dai conflitti armati. Una scheda, in particolare, riprende l’appello di Amnesty International che «anche i controllori devono essere controllati», ricordando le violenze sessuali, gli stupri, la prostituzione e il traffico sessuale messi in atto (a partire già dagli anni ’90) dagli uomini che dovevano essere “operatori di pace” delle Nazioni Unite in Bosnia Erzegovina, Cambogia, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Haiti, Liberia, Sierra Leone, Sud Sudan e Timor Est.

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