Caterina Caselli: «Quest’anno non sarò a Sanremo, ma ci sarà mio figlio Filippo»

La produttrice e talent scout racconta la sua ultima sfida: il marchio SZ Sugar per accogliere talenti emergenti e compositori sperimentali. «L’intento è trovare unicità, andare oltre le mode. Bisogna contaminarsi e l’elettronica può fare da ponte. Le donne? Stiamo riprendendo quota»

Caterina Caselli
di Simona Antonucci
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Mercoledì 24 Gennaio 2024, 10:16 - Ultimo aggiornamento: 25 Gennaio, 10:06

«Senza musica si può esistere, ma non si può vivere. Non so qual sia la mia preferita. Forse quella che ancora non c’è».

Caterina Caselli, che conquistò Sanremo ventenne con un’acconciatura “d’oro” studiata per lei dai Vergottini, lo ripete circondata dalla sua famiglia, che di musica si nutre da quattro generazioni, negli studi della Sugarmusic Spa, casa editrice musicale ed etichetta discografica che spazia da Morricone a Madame, da Gualazzi a Motta, dalle produzioni audiovisive alle colonne sonore, dalle star dei festival ai geni delle consolle. «È qui a Milano, a due passi dal Duomo che tutto ebbe inizio con il negozio di spartiti di mio suocero Ladislao che sarebbe felice di vederci tutti insieme, con nipoti e ora anche pronipoti, a mandare avanti il suo spirito innovatore», aggiunge, presentando la SZ Sugar, un nuovo “tetto” per i compositori di oggi, autori sperimentali «che aspettano solo di essere capiti e ascoltati. E che qualcuno investa su di loro. Il pop va bene, ma alimentare la ricerca è fondamentale», continua la manager di Negramaro e Sangiovanni, pronti per il prossimo Sanremo.


Lei, alla vigilia del Festival, annuncia il lancio di un progetto che guarda a suoni “di rottura”. Andrà comunque a Sanremo? 
«Quest’anno no. Ci sarà mio figlio Filippo. Ma c’è un altro festival dove sogno di andare, Salisburgo. È il tempio dell’eccellenza. E sono orgogliosa di poter presentare un’opera lì. Il 25 luglio proporremo il Prigioniero di Luigi Dallapiccola, in forma di concerto».
Con le sfide ha una certa consuetudine: dopo i successi di “Nessuno mi può giudicare” o “Perdono”, deviò per una carriera da talent scout, insieme con suo marito Piero Sugar, intrecciando le sue competenze con quelle della musica contemporanea. Sono ancora possibili contaminazioni tra pop e musica colta?
«Credo che attraverso l’elettronica ci sia una via percorribile. Guardo a un mondo di studiosi, ma non necessariamente provenienti dai conservatori. Forse farò storcere il naso a qualcuno, ma ci sono musicisti molto preparati nell’elettronica e credo che loro possano essere un punto di congiunzione. E il confronto serve a tutti».
E secondo lei si potrebbe sbarcare in tv?
«Dipende da come viene presentata. Bisogna contaminarsi. Con delle installazioni si possono fare cose meravigliose. Le faccio un esempio: ho appena risentito dei brani di Berio e mi immaginavo di essere nella giungla. E invece i documentari vengono sempre accompagnati da colonne sonore tradizionali».
E a Sanremo?
«Sanremo mi sembra un salto un po’ eccessivo. Ma mi piace l’imprevedibilità, generare stupore. Occorre inoltre che in Rai, dove hanno registrazioni di grandi maestri, si pensi a riutilizzare questo prezioso materiale. Un modo di fare cultura tenendo in vita la memoria».
Come si concilia una musica di rottura con le hit che promuovete?
«Ma SZ Sugar non è un’operazione “anti-Sanremo”. Anzi. Il nome del marchio sottolinea il legame con il gruppo e la sua storia. Il pop ha i suoi canali e al Festival abbiamo due nostri cantanti. Noi stiamo cercando di aprirne altri. Di guardare ai nuovi modi di ascolto. Vogliamo essere un tramite per gli autori emergenti, utilizzando i nuovi media».
Le donne continuano a essere in minoranza?
«Stiamo riprendendo quota, soprattutto nel pop. E nella contemporanea stanno emergendo talenti. Caterina Barbieri è una compositrice che vorrei frequentare. La nostra responsabile del catalogo sull’innovazione è una donna, Anna Leonardi, musicista di grande gusto. Noi faremo un buon lavoro».
Cosa vuol dire cercare voci fuori dal coro?
«L’intento è trovare l’unicità. Cercare qualcosa che non ci sia. Non fare quello che il mercato richiede. Anche perché quando qualcosa è di moda è già fuori moda. Cerco musica ispirata. E che ci sia una peculiarità dal punto di vista vocale. La voce è una testa di ponte. È molto importante che sia riconoscibile. Noi ci prendiamo le nostre sfide. Ma sarebbe auspicabile che le abbracciasse anche qualcun altro».
Cosa la spinge verso questa nuova sfida?
«Il mondo musicale è cambiato e dobbiamo prenderne atto. La tecnologia ci mette a disposizione molte possibilità, piattaforme, podcast e c’è un serbatoio di pubblico curioso: ci sembrava il momento giusto per avviare questo nuovo percorso e abbattere le barriere».
Quali barriere state abbattendo?
«I pregiudizi. Si considera un certo tipo di suoni difficili. Ma la musica di ricerca di oggi è invece sempre sorprendente».
Le sale da concerto guardano a repertori da grandi incassi?
«Certo. C’è resistenza nei teatri italiani ad accogliere il nuovo. Cercheremo il nostro pubblico ovunque».
Dove? 
«Debuttiamo a Miart.

In primavera. Una collaborazione triennale. Con il premio “SZ Sugar Miart commission” faremo interpretare a un artista la prima pagina dello spartito di un brano che amo: Allez-Hop, su musiche di Berio e testi di Calvino. A proposito di contaminazione». 

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