Patrizia Caraveo, astrofisica: «Tante scienziate senza riconoscimenti»

Patrizia Caraveo in una foto di Gerald Bruneau esposta al Museo Bilotti di Roma
di Marina Cappa
4 Minuti di Lettura
Domenica 20 Agosto 2023, 11:49 - Ultimo aggiornamento: 11:50

Nella foto esposta fino al 10 settembre al Museo Carlo Bilotti di Roma, accanto ad altre Ritratte. Donne di arte e di scienza, Patrizia Caraveo è nel disordine del suo studio: la scrivania ricoperta di appunti, alla parete i badge delle centinaia di conferenze cui ha preso parte. E in mano il modellino di un telescopio, perché per tutta la vita professionale dalla laurea in Fisica a oggi che ha 69 anni e ancora lavora all'Inaf, dove tiene il corso di Introduzione all'astrofisica lei ha puntato in alto. Direzione le stelle.
Lassù, con il marito Nanni Bignami, una cinquantina d'anni fa ha intuito una presenza strana. Dopo averla studiata vent'anni, hanno scoperto una stella di neutroni, primo esempio di emissione in gamma. L'hanno battezzata Geminga, che letto con la "g" dura diventa Ghe minga, "non c'è" in milanese. Su Wikipedia la paternità stellare è però attribuita al solo Bignami, nonostante Nanni abbia «sempre detto che abbiamo fatto tutto insieme. E se l'American Astronomical Society ha premiato lui, io nel 2009 ho ricevuto il premio del Presidente della Repubblica e poi nel 2021 l'Enrico Fermi della Società italiana di fisica».


Il mondo della fisica non soffre quindi disparità di genere?
«All'università il problema non me lo sono mai posto. Anni dopo però ho cominciato a farmi delle domande: ero entrata nel Cnr (il Consiglio nazionale delle ricerche, poi transitato nell'Inaf, ndr) e vedevo quante poche fossero le dirigenti di ricerca. Man mano mi sono resa conto che non si può dare per scontato che la parità di genere venga da sé, bisogna impegnarsi e fare formazione».


Sul tema lei ha scritto "Uomini e donne: stessi diritti?", con alcuni esempi in campo scientifico.
«Uno dei più eclatanti è stata la storia di Jocelyn Bell, che con la tesi di dottorato ha scoperto le stelle pulsar. Il relatore all'inizio nemmeno ci credeva, poi hanno scritto insieme dei lavori e alla fine il Nobel lo ha preso solo lui, Antony Hewish. Ma pensiamo anche alla Nasa: dalla fine dei Settanta assume astronaute, però per tutti gli anni della corsa alla Luna le donne erano escluse».


Se dalla Luna scendiamo a casa sua: la situazione com'era? Suo marito, scomparso nel 2017, è stato fra le altre cose presidente dell'Agenzia spaziale italiana.
«Era una persona importante con una personalità molto evidente, e si rendeva conto che per alcune posizioni cui avrei potuto aspirare non venivo considerata proprio perché sua moglie. Mi diceva: "Io sono ingombrante". Io la buttavo sul ridere: anche a letto lo sei, ma va bene. Quello che mi ha dato più fastidio invece è che quando è mancato io avevo fatto domanda per diventare presidente dell'Asi e un collega mi ha detto: "Queste posizioni non si ottengono per diritto ereditario". Insomma: quando lui era vivo non potevo perché era ingombrante, lui è morto e non posso uguale».


Avete avuto una figlia, Giulia. Per una donna che vuole fare carriera nella scienza diventare mamma è un "handicap"?
«Io sono stata fortunata, ho avuto tate fantastiche e genitori molto disponibili, non mi sono mai sentita a un bivio e appena ho smesso di allattare sono partita per la Florida a vedere un lancio con lo shuttle. Nanni capiva e mi diceva: "Non esitare, i bambini vengono grandi lo stesso". Ho sempre schivato la sensazione di sentirmi colpevole o non all'altezza. Anche se mia figlia ci ha provato: alle elementari, a Roma, mi chiedeva perché non andavo a prenderla a scuola, come facevano le altre mamme».


La risposta?
«Perché lavoro. E perché non lo chiedi a papà? "Non ci sono papà che vengono a scuola", ribatteva lei».


Oggi è più semplice per Giulia?
«Le pari opportunità le dà per scontate. Però ha deciso di non fare la carriera scientifica, troppo precaria. In più, ha un dottorato in Chimica inorganica ma in Italia le dicevano che era troppo qualificata, ed è andata in Scozia».


Anche i suoi studenti se ne vanno dall'Italia?
«Diversi, per non rimanere in un limbo di assegni di ricerca, senza la sicurezza di un posto di lavoro, senza poter ottenere mutui o progettare il futuro, accettano le offerte di banche e assicurazioni: vanno a fare calcoli di probabilità o a gestire big data, con stipendi molto interessanti e carriere brillanti. Quando mi chiedono perché la società dovrebbe investire su un dottorando che studia l'universo, rispondo: è un valore sociale, queste persone sono preparate a fare qualsiasi lavoro».


Lei ha più studenti o studentesse?
«Circa la metà, a Fisica in generale le ragazze sono sul 40%, a Ingegneria il 30%, a Matematica oltre la metà».


Qual è il prossimo badge che appenderà nel suo studio?
«A inizio settembre vado a Reggio Calabria per una conferenza sull'inquinamento luminoso. È un tema che mi prende molto e a cui ho dedicato un libro: Il cielo è di tutti».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA