L'astrofisica Antonella Castellina, prima donna alla guida dell'Osservatorio Auger: «Cerchiamo raggi cosmici nella pampa»

L'astrofisica Antonella Castellina
di Paolo Travisi
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Sabato 13 Gennaio 2024, 15:35

La passione per l'universo nata da bambina, cresciuta sui banchi di scuola e poi divenuta un lavoro di ricerca tra i più complessi al mondo, l'astrofisica. Antonella Castellina, piemontese e ricercatrice dell'Inaf - Osservatorio Astrofisico di Torino, è stata eletta coordinatrice scientifica dell'Osservatorio Pierre Auger, a capo di oltre 400 scienziati per studiare l'origine delle astroparticelle, da un rivelatore che si trova nella sperduta pampa argentina.
Partiamo dall'origine di tutto, quando ha capito di voler diventare un'astrofisica?
«Alle scuole medie cercavo informazioni scientifiche sull'enciclopedia, visto che non esisteva internet, ero molto affascinata dalle stelle e dall'universo. Poi mi sono iscritta al liceo scientifico dove ho fatto amicizia con una persona più grande che si stava costruendo un telescopio. E poi ho incontrato una professoressa che mi ha consentito di approfondire quello che mi piaceva e di raccontarlo in classe. All'università di Torino, non c'era astronomia, per cui ho scelto fisica e poi mi sono specializzata in astrofisica».
Studia i raggi cosmici in un osservatorio che si trova in luogo desertico, in mezzo alla Pampa Argentina. Perché così lontano?
«Il motivo del luogo è legato al tipo di fisica che si studia. Io mi occupo di studiare particelle che sono sia elettricamente cariche, che neutre, in una regione di energia estremamente grande. Al CERN di Ginevra c'è un acceleratore di particelle che ha una circonferenza di 27 chilometri, ma se dovessimo fare sulla Terra un acceleratore per studiare i raggi cosmici, dovremmo costruirne uno con una circonferenza pari all'orbita di Mercurio. Improponibile. Le particelle bisogna studiarle andandole a cercare direttamente nell'universo, per cui occorre una vastissima area dove poter mettere gli acceleratori ed inoltre serve un'atmosfera molto pulita, con poco inquinamento. Nella pampa non c'è quasi niente, solo le mucche ed un paesino di qualche migliaio di persone, tutto il resto è pascolo di bovini a 1.400 metri di altezza. Era il posto migliore per i nostri studi».
Questi studi che impatto potrebbero avere nella conoscenza scientifica?
«Sono gli unici che esistono sulle particelle di energia più estrema che noi conosciamo ed il modo in cui vengono prodotte è una questione quasi completamente ignota. Si tratta di una ricerca di base che studia la struttura del nostro universo fuori dalla nostra galassia».
È stata eletta coordinatrice scientifica dell'osservatorio. Una nomina che si aspettava?
«Questo tipo di nomina passa per un procedimento piuttosto democratico. C'è un rappresentante per ogni gruppo che partecipa, e nel nostro esperimento siamo 400 scienziati di 17 diversi Paesi del mondo, in ognuno dei quali c'è una specie di parlamentino che ogni tre anni vota una rosa di candidati. Ed è successo, ma dire che me lo aspettassi, è un po' esagerato. Diciamo che c'era una possibilità».
Un'astrofisica che coordina 400 scienziati provenienti da mezzo mondo. È difficile tenere a bada l'ego dei suoi colleghi?
«Può esserlo, nel senso che dipende da come si organizzano le cose. Io credo molto nella distribuzione delle responsabilità, per cui nel nostro esperimento ci sono tanti gruppi di lavoro dedicati a diversi tipi di ricerche, ognuno con dei responsabili. Dopodiché siamo tanti e con culture diverse, per cui come dico ogni tanto scherzando, certe volte ci vorrebbe anche una laurea in psicologia, non solo in fisica».
Il fatto che a coordinare il gruppo sia uno scienziato donna, è una rarità nel vostro ambiente?
«È una rarità come dappertutto, perché i sistemi di promozione delle carriere scientifiche sono costruiti in un modo che non aiuta le donne, poi culturalmente si pensa che le donne facciano la letteratura e gli uomini gli ingegneri. Ma nel nostro esperimento c'è una percentuale di partecipanti donne del 25%, anche se io sono la prima donna direttore dell'osservatorio, dopo gli ultimi sette, tutti uomini; ci sono anche gruppi gestiti da donne, certo non alla pari».
Molte giovani donne iniziano studi scientifici, poi si fermano. Perché accade?
«A monte c'è un motivo culturale ed un sistema di promozione delle carriere che non aiuta. Se si desidera una famiglia è difficile avere una carriera continuativa. Quando sono nati i miei sono rimasta a casa pochissimo, ho lavorato part-time, ma è stato difficile combinare vita familiare e professionale. Il fattore culturale bisogna sempre combatterlo».
Quanto è stato importante aver incontrato quell'insegnante al liceo?
«Tanto. Mi ha dato l'idea che ci si potesse interessare a studi scientifici indipendentemente dal fattore culturale e di genere. Era un'insegnante entusiasta, sapeva cogliere le passioni degli studenti ed incrementarle. Nelle scuole bisogna sicuramente lavorare in questo senso e noi donne più esperte dobbiamo impegnarci a parlare con le più giovani, convincendole a non spaventarsi di tutte queste difficoltà, perché si può fare e quello che si pensa troppo difficile, alla fine non lo è».
 

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