Anna Guaita
Quest'America
di Anna Guaita

Coronavirus, New York: Torna la speranza, ma non la gioia

La stazione Grand Central in una foto di Terry W Sanders
di Anna Guaita
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Lunedì 27 Aprile 2020, 00:35 - Ultimo aggiornamento: 14:22
​NEW YORK – Giunti al 57esimo giorno di lockdown, i newyorchesi hanno sentito il loro governatore parlare per la prima volta di una «riapertura». Andrew Cuomo è stato molto cauto e ha ricordato che se «il peggio è passato» bisogna allo stesso tempo ricordare che «il rischio che si torni indietro è ancora molto alto». Ma ha anche ammesso che «i casi di violenza domestica, di alcolismo, abuso di droghe, i problemi di stabilità mentale e di stress stanno tutti crescendo, e per questo bisogna riaprire almeno qualcosa».
 
Come rimettere in moto l’immensa macchina di uno Stato complicato come New York, che ha aree montuose e agricole nella parte nord, ed è invece una fittissima zona metropolitana e suburbana nella parte meridionale con una popolazione di quasi 24 milioni di abitanti?
 
Cuomo ipotizza un’apertura in varie fasi, interrotte da due settimane di tempo, che dovrebbero confermare se il virus riprende forza o no.
 
Si dovrebbe cominciare con il settore edilizio e manifatturiero nel nord, il 15 maggio, e solo lentamemte scendere verso il sud dello Stato. Per di più, per quanto riguarda la parte meridionale, cioé la grande area metropolitana, ci si dovrà coordinare con i due Stati confinanti, il Connecticut e il New Jersey, con i quali New York forma la cosiddetta “Tri State Area”: «Se apri le spiagge del Connecticut ma non quelle di New York troverai tutte le targhe dei newyorchesi in Connecticut, e lo stesso se le apriamo prima noi o se le apre il New Jersey» ha spiegato Cuomo.
 
---I numeri: A dare a Cuomo la fiducia che si possa cominciare a parlare di una progressiva apertura, sono i numeri: Domenica la bilancia dei decessi è scesa a 367, per la prima volta sotto il tetto dei 400, dove si era fermata a lungo. Il numero dei nuovi contagi è a poco più di mille: «Sarebbe normalmente una terribile notizia – ha ammonito Cuomo -. Non è terrible solo se confrontiamo questo numero con il livello in cui ci trovavamo pochi giorni fa».
 
---I caduti sul lavoro: Le famiglie degli addetti ai trasporti pubblici morti per il coronavirus riceveranno un risarcimento di 500 mila dollari. E' il primo indennizzo del genere approvato da uno degli Stati dell’Unione. Il presidente della  Metropolitan Transportation Authority, Pat Foye (anche lui si è ammalato di coronavirus, ma si è rimesso) ha spegato che si tratta di un riconoscimento per coloro che sono «caduti nell’adempimento del proprio dovere».
 
---Come viaggeremo nel futuro? Il grande rischio di un ritorno alle attività normali è rappresentato dalla folle sui mezzi pubblici. La Mta ha già previsto pulizie a fondo tre volte al giorno dei vagoni e già effettua il controllo della temperatura dei dipendenti in 70 diversi punti, ogni giorno. Si ipotizza tuttavia che nel futuro nasca una collaborazione con le grandi aziende in modo da scaglionare le aperture e le chiusure degli uffici ed evitare l’enorme affollamento delle ore di punta.
 
 
---Nessuna gioia: No, il fatto che si parla di uscire dal tunnel, che si programmi come tornare a lavorare, a “vivere”, non causa gioia. La strage che il coronavirus ha fatto nella Grande Mela  pesa sul cuore di tutti.  Quasi 18 mila sono i morti nello Stato, di cui 12 mila solo in città. Siamo tutti a lutto. Tutti conosciamo o abbiamo amici che conoscono qualcuno che è morto. Non so davvero se New York, la «città che non dorme mai»,  tornerà «normale». Torneranno i suoi 65 milioni di turisti ogni anno? Torneremo a fare la fila per entrare in un piccolo ristorante che fa il miglior sushi del quartiere? Torneremo a fare le spese di Natale da Macy’s, fra luci e lucine e folle eccitate? Francamente non lo so. Ma cercherò di raccontarvi quel che succede in questa città che ho imparato ad amare.
 
New York, domenica 26 aprile
Foto di Terry W Sanders

ps
Quando ho inserito questo testo, avevo inizialmente scritto "Mario Cuomo", anziché "Andrew Cuomo". Mi scuso dell'errore: all'inizio della mia carriera ho seguito a lungo il padre di Andrew, e ancora oggi il suo nome mi viene automaticamente mentre scrivo. La collega Luciana Capretti, della Rai, che lo seguiva anche lei quando era qui a New York, me lo ha fatto notare e correggere già due volte. La ringrazio!
 
 
 
 
 
 
 
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