Anna Guaita
Quest'America
di Anna Guaita

Early Voting: un retaggio ottocentesco nella democrazia Usa

Terry W. Sanders
di Anna Guaita
4 Minuti di Lettura
Sabato 24 Ottobre 2020, 21:49 - Ultimo aggiornamento: 25 Ottobre, 17:06

NEW YORK – «I voted early», ho votato presto. Non significa che questo newyorchese, immortalato in una foto di Terry W. Sanders, si sia svegliato presto per andare alle urne, ma che si è avvalso della possibilità di esprimere il proprio voto con dieci giorni di anticipo sulla data ufficiale delle elezioni. Sabato 24 ottobre, infatti, anche lo Stato di New York ha aperto i seggi per il cosiddetto voto anticipato.

Mentre scriviamo, nel Paese oltre 52 milioni di americani hanno già votato, chi per corrispondenza, chi appunto avvalendosi dell’”early vote”, cioè recandosi di persona alle urne aperte in ogni Stato per un periodo variabile di tempo prima del giorno del voto. 

La data ufficiale del voto in questo turno elettorale è il 3 novembre, cioé come detta una legge del 1845, “il primo martedì dopo il primo lunedì nel mese di novembre”.

Per noi europei le immagini di milioni di americani che vanno ai seggi con giorni, se non settimane, di anticipo sulla data fissata dalla legge è incomprensibile. Una grande vittoria della nostra democrazia è stata dopotutto di ottenere che si voti nel fine settimana, tutti insieme.

Ma per gli Stati Uniti, è il voto anticipato a essere una conquista democratica.

La data del «primo martedì dopo il primo lunedì nel mese di novembre» fu fissata nel 1845 per ovviare al problema della confusione che era regnata fino ad allora per il fatto che i vari Stati votavano tutti in date diverse, durante l’autunno. Nel decidere una data valida per tutti gli Stati, si dovevano però tenere da conto i bisogni di un Paese religioso ed essenzialmente agricolo e molto vasto, in cui ci voleva un viaggio di ore se non giorni per arrivare al seggio. Tutti furono d’accordo nel bocciare il fine settimana, perché la domenica si andava a Messa. E il mercoledì era generalmente giorno di mercato. Così si puntò sul martedì, nel mese di novembre, che non è troppo freddo o nevoso e permetteva quindi di spostarsi con una certa facilità.

E poi, con il raccolto finito, nelle campagne cominciava il riposo invernale.

Tutti questi ragionamenti ottocenteschi non valgono più in un Paese moderno, fortemente inurbato, e in un sistema lavorativo che non concede vacanza per il giorno di voto. E quindi l’idea di aprire i seggi per una, due o anche tre settimane prima del voto ufficiale è stata dettata proprio dal bisogno di venire incontro a chi altrimenti non potrebbe votare perchè non può prendersi un giorno di permesso in una giornata lavorativa.

Tuttavia quest’anno le cose sono complicate anche dalla presenza del virus, e da qui le lunghe file: centinaia di migliaia di persone preferiscono andare al seggio prima del 3 novembre per la paura che quel giorno l’affollamento sarà molto peggiore.

Milioni hanno dal canto loro scelto di votare per corrispondenza (QUI il mio blog sull’argomento), un altro metodo di voto, una volta riservato ai militari e ai cittadini residenti all’estero e adesso concesso in quasi tutti gli Stati, e anzi in tre Stati (Colorado, Hawaii e Oregon) è l’unico tipo di voto previsto.

Si capisce dunque perchè i commentatori non parlino più dell’«election day», ma dell’«election season», la stagione elettorale. Di fatto, la “stagione” è cominciata 46 giorni prima dell’election day, nel Minnesota, il primo nel 2020 a concedere l’early voting, seguito dal Michigan, Illinois, California, ecc.

Alcuni analisti pensano che l’altissimo numero di americani che ha già votato di persona o per posta è un segnale positivo per Biden, poiché i dati dimostrano che la maggior parte dei votanti finora è stata democratica. I repubblicani rispondono però ricordando che la maggioranza dei repubblicani intende votare di persona, il 3 novembre, e quindi le due tendenze si annulleranno a vicenda.

© RIPRODUZIONE RISERVATA