Riccardo De Palo
Lampi
di Riccardo De Palo

"Rien ne va plus", con Antonio Manzini il gioco è una cosa seria

Marco Giallini nel ruolo di Rocco Schiavone
di Riccardo De Palo
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Domenica 20 Gennaio 2019, 20:34
Rien ne va plus è la seconda parte di Fate il vostro gioco: l'omicidio del ragioniere Favre è rimasto (nel primo romanzo) senza un chiaro mandante e Rocco Schiavone - sempre più perseguitato dai fantasmi del passato - si trova costretto a ripercorrere i fili di un'indagine irrisolta; e anche in questo nuovo capitolo i suoi metodi sono poco ortodossi. Il vicequestore di Aosta (ma con Roma nel cuore) creato dalla penna di Antonio Manzini, torna ad occuparsi del sottobosco di affari loschi che fa da contraltare al gioco d'azzardo, all'universo dei forzati del casinò, della ludopatia vista come una vera e propria malattia, da curare con tutti i mezzi: «Il gioco è un carcere. Uscirne significa riacquistare la libertà».

Qualcosa non si incastra, non quadra, e l'odore di bruciato che sente Schiavone prende improvvisamente forma con la rapina di un portavalori, carico di quasi tre milioni di euro, l'intero incasso del casinò di Saint-Vincent. L'autista è stato costretto dall'altro vigilante della spedizione, complice dei rapinatori, a cambiare strada; e il gps è stato oscurato. Resteranno delle tracce che la solita Michela Gambino saprà decodificare, ma la Procura cerca di frenare l'attivismo del vicequestore: è in ballo un'inchiesta ancora più vasta e importante, che punta a fare luce sulle attività di Regione e casinò, e Schiavone è gentilmente invitato a non immischiarsi.

Il protagonista bene interpretato in televisione da Marco Giallini continua a recitare il suo copione di sbirro scafato, ma capace a suo modo di emozionarsi, che si muove secondo una personalissima scala di valori. Nelle notti insonni chiede consiglio alla moglie defunta, Marina, che gli appare nelle notti senza luna, e che gli fa notare di avere gli «occhi prigionieri»: «Guardano sempre verso il basso, non li alzi mai». Il passato ritorna inesorabilmente a funestare i suoi giorni; e se strappa senza pensarci la lettera di Caterina Rispoli, la ex collega che ritiene senza dubbio una traditrice, è quanto accade a Roma nel frattempo a fargli perdere il sonno. Non anticipiamo troppo: basti dire che Schiavone teme di finire, a sua volta, i suoi giorni in prigione. Se poi non bastasse, ad amplificare le inquietudini del vicequestore interviene il sospetto, sempre più fondato, di essere finito sotto la lente dei servizi segreti. 

L'ambiente del commissariato di provincia, tra le frasi sgangherate dell'abruzzese D'Intino e i battibecchi del questore Costa con il suo sottoposto, è come sempre ben costruito, e - con i classici intermezzi in chiave di commedia - fa decollare un intreccio complesso, ma pieno di indizi seminati a bella posta e di dialoghi pronti per la prossima fiction. 

Schiavone, con quell'aria da sciupafemmine un po' maledetto, sempre fuori posto, perennemente ostaggio del suo loden e delle sue Clark inadatte ai rigori invernali, riesce ad avere ragione di un'inchiesta intricata, dall'esito tutt'altro che scontato. «Gli uomini, non soltanto alla roulette ma ovunque, non fanno altro che togliersi o vincersi qualcosa reciprocamente», scrive Dostoevskij ne Il giocatore. E lo stesso avviene in Rien ne va plus, dove la cornice del romanzo giallo appare stretta, in un microcosmo che diventa sempre più metafora di un disagio universale. Perché non c'è nulla di più serio del gioco.
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