Riccardo De Palo
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di Riccardo De Palo

Crypto-art, il fenomeno: ecco perché un file "immateriale" vale decine di milioni di euro

L'opera di Beeple venduta per 70 milioni di dollari
di Riccardo De Palo
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Martedì 9 Marzo 2021, 12:12 - Ultimo aggiornamento: 12 Marzo, 10:53

Come si può quadruplicare il valore di un’opera d’arte? Basta distruggerla. L’altra settimana una stampa di Banksy esistente in un unico esemplare, “Morons (White)” è stata incendiata in diretta su Twitter - sull’account  @BurntBanksy - da uomini con il volto coperto in una località segreta di Brooklyn. Una misteriosa azienda di nome Injective Protocol ha acquistato l’opera a 95mila dollari solo allo scopo di distruggerla e rimpiazzarla con un’unica copia digitale. Benvenuti nel futuro: questo esemplare di “crypto art” è stato venduto per 382.336 dollari, oltre quattro volte il suo valore originale.

«Abbiamo specificatamente scelto un Banksy perché è stato lo stesso artista a distruggere una sua opera, nel corso di un’asta», ha spiegato la compagnia, riferendosi alla “ragazza col palloncino” sfettucciata tre anni fa da Sothebys mentre era in corso la vendita, e che è stata battuta (così com’era, ridotta in coriandoli) per 1,2 milioni di euro.

Gli artisti hanno sempre giocato con la distruzione delle proprie opere, commenta il Guardian in una inchiesta sul fenomeno, ma questa volta è diverso. Non è come quando Ai Weiwei rompe un vaso creato duemila anni fa, o quando i fratelli Jake e Dinos Chapman eliminano le facce dalle stampe di Goya. La distruzione dell’opera di Banksy è una prima assoluta, in cui l’arte fisica viene sostituita da un’opera digitale e immateriale. E poco importa che tutti possano copiarla, metterla sul proprio desktop o tenerla nella galleria del telefonino. La copia “originale” avrà lo stesso un prezzo stratosferico. I fautori di questo mercato hanno portato alle estreme possibilità "l'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica".

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«Noi vediamo questo evento come una espressione dell’arte stessa», ha detto al giornale britannico il dirigente di Injective Protocol, Mirza Uddin. Ma chi pagherebbe per un’opera - per quanto “originale” ma sempre replicabile - che si può facilmente reperire gratis online? Moltissima gente, a quanto pare. Il mese scorso, il musicista e artista Grimes ha racimolato sei milioni di dollari in un’asta via Twitter durata venti minuti, e dedicata ad “arte che non esiste”. Ovvero arte che in realtà esiste, ma che consiste di dieci lavori, in gran parte brevi video clip, raccolti sotto il nome pomposo di  “WarNymph Collection Vol 1”, creati da Grimes e da suo fratello. 

L’arte digitale è in grande crescita e Rob Anders, Ceo di Niio, una piattaforma in streaming specializzata con oltre quindicimila opere in vendita, dice che ormai siamo “a un punto di svolta” per questo settore.

La pandemia, ovviamente, ha aiutato. Siamo tutti chiusi in casa, davanti a uno schermo, che sia computer, tv o display di cellulare, gli stessi mezzi che consentono di vedere questo tipo di arte. L’artista scozzese Trevor Jones ha ottenuto ben 3,2 milioni di dollari vendendo  4157 edizioni digitali della sua opera “Bitcoin Angel”, in un tempo record di sette minuti. 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Ma come funziona un’asta online di un oggetto del genere? «La gente compra un gettone che, in maniera astratta, rappresenta la proprietà di una immagine digitale - ha spiegato lo stesso Jones al Guardian - per cui questa è vermente la prima volta che gli artisti possono creare e vendere immagini digitali, come un banale jpeg».

La vendita diventa, in sé, una performance. Nell’opera data alle fiamme, si vede mettere all’asta un’opera incorniciata, con la scritta «Non ci credo che voi deficienti compriate questa merda». Anche i compratori, insinua il Guardian con ironia, potrebbero arrivare a “scottarsi”? Jones sostiene che la crypto-art abbia un grande futuro. Recentemente ha twittato di non rivendere subito la sua #BitcoinAngel open edition: «Se vendete ora, non ci rifarete i soldi spesi, ma aspettate sei mesi e mi ringrazierete».

Sarà vero? Anche le case d’aste blasonate cominciano a interessarsi del fenomeno. Questa settimana, Christie’s ha effettuato la prima vendita all’incanto di arte digitale, un collage dell’artista Mike Winkelmann, noto sotto lo pseudonimo di Beeple. “Everydays: The First 5000 Days” è un’opera iniziata il primo maggio del 2007, con un primo disegno postato su Instagram. Da allora, Beeple ha aggiunto un altro post al giorno, per 13 anni e mezzo. Il risultato è un’opera descritta come “un cartoon di uno sketch politico ficcato in un videogame distopico”. Risultato dell'asta: un prezzo stellare, 70 milioni di dollari per un'opera d'arte "immateriale".

Al New York Times Winkelmann ha detto che l’arte tradizionale si chiede di  lui: «Ma chi sarà mai questo ragazzino?». Ma Beeple, forte dei suoi 1.8 milioni di followers, si sente ora riconosciuto dal “bollino” di Christie’s. Grazie a lui, il collezionista Pablo Rodriguez-Fraile ha fatto una fortuna comoprando un video con il corpo nudo di Donald Trump e la scritta tatuata “loser”, perdente, tatuata sulla pelle. Lo aveva comprato a 67mila dollari in ottobre, e lo scorso mese lo ha rivenduto per 6,6 milioni.

Il problema dell’arte digitale - che esiste da decenni - è sempre stato come renderla funzionale al mercato. La risposta è venuta dalla tecnologia blockchain - la stessa che rende possibili i bitcoin - che permette di autenticare la provenienza di un’opera, che diventa “unica” e diversa dalla stessa clip o immagine, visibile gratuitamente sui social.  Senza entrare troppo nel dettaglio, il sistema (inventato dal creatore dei bitcoin noto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto), consente di condividere tutte le transazioni in una rete di computer globale, che viene aggiornato in tempo reale. Questo stesso sistema consente anche di certificare l’autenticità di un’opera.

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Ora c’è il pericolo di creare “bolle” speculative. Ma Anders sostiene che le potenziali dell’arte digitale sono enormi. E cita anche Lenin: «Ci sono dei decenni in cui non accade nulla. E poi delle settimane in cui accadono decenni». Chissà cosa ne pensa Banksy, sempre attento a non speculare sulla sua arte, che si vede strappare di mano l’occasione di bruciare, e rendere così irripetibile, una sua opera.

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