Antonio Manzini: «Così il mio Rocco Schiavone affronta i fantasmi del passato»

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di Riccardo De Palo
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Domenica 13 Giugno 2021, 12:45

Vecchie conoscenze è l'ultimo romanzo di Antonio Manzini, il decimo dedicato al vicequestore Rocco Schiavone, in uscita in questi giorni (sciopero della distribuzione permettendo). Ieri era ospite d'onore alla rassegna Libri come, all'Auditorium di Roma, dove ha preso parte a uno spettacolo basato su un racconto inedito scritto, nella finzione, dallo stesso poliziotto controcorrente. L'autore romano è molto schivo e ogni volta che deve apparire in pubblico si sente male. «Elena Ferrante - dice - è un genio assoluto: oltre a scrivere da Dio, ha capito che bisogna nascondersi».


Vecchie conoscenze è ormai il decimo romanzo dedicato a Rocco Schiavone. Bilanci?
«Il tempo è passato senza che me ne accorgessi. Non avrei mai immaginato un simile successo, è stato un regalo meraviglioso di cui sono felicissimo. Mentirei, se dicessi il contrario. Ma non bisogna mai mentire, secondo me. A meno che tu non sia davanti a un giudice, e ti convenga».


Stavolta, il caso parte dalla morte di una studiosa di Leonardo. Gioca un po' al Codice da Vinci?
«Lo sa che non ci avevo proprio pensato? Non è stato intenzionale».


Nei suoi romanzi il passato riemerge di continuo. Questa volta, torna il personaggio dell'amico d'infanzia, Sebastiano.
«Sì, in carne ed ossa. Dovevo chiudere quella parte, la stavo trascinando da troppo tempo».


Ricordiamo per i lettori che la moglie di Rocco, Marina, era stata uccisa, e che lui si vendica.
«Sì, esatto, questo è l'antefatto. Bisognava spiegare che cosa era successo, chi c'era dietro, così come tutta una serie di altri dettagli meritavano un chiarimento».


Nel suo libro una donna chiede a Rocco: Se ti guardo negli occhi lo sai cosa vedo? Niente. Perché?
«Perché è un uomo che non ha una proiezione verso il futuro. Rocco si trascina in un'esistenza che non gli appartiene più. Succede spesso di non vedere niente, negli occhi dei depressi».

Marco Giallini nel ruolo di Rocco Schiavone


Supererà mai l'amore per Marina?
«Secondo me no. Perché ormai si è abituato a vivere con una persona che non c'è più».


Ci parla continuamente, infatti.
«C'è solo lei, nella sua fantasia. Ogni volta che prova ad avvicinarsi, le donne se ne accorgono. Non capisco neanche perché ci vadano con lui, a essere sincero».


Curioso che un autore non capisca perché i suoi personaggi si comportino in un certo modo.
«A un certo punto, non ti senti più responsabile per loro. Il personaggio non è soltanto tuo, ma anche dei lettori».


Ha una vita propria?
«In qualche modo sì. Tu come autore devi porti delle domande, perché lo hai inventato. Ma è come se io non sia del tutto autonomo nelle risposte da dare a Rocco Schiavone. È come se i miei personaggi abitassero in universi paralleli.

Ne ho parlato anche con l'analista. Sento che in questo c'è della follia, ma è così (ride, ndr)».


Quanto è importante Roma nei suoi libri?
«Adesso non più di tanto, lo era molto all'inizio. Ma la romanità è necessaria: Rocco conserva atteggiamenti che ancora mi divertono». 


Hanno già annunciato la quinta stagione della serie. Sarà basata su questo romanzo?
«Sì, e anche su alcuni racconti, quelli che sono rimasti. Gli altri li ho usati tutti. Dovremmo girarla a febbraio del 2022. Il cast rimane lo stesso. Marco Giallini è perfetto nel suo ruolo, e poi lo fa da così tanto tempo... Non voglio dire che sia diventato Rocco Schiavone, ma poco ci manca».


E questo personaggio, quanto le somiglia?
«Per niente. Forse vorrei essere come lui. Vorrei avere il suo coraggio, mentre io spesso mi tiro indietro». 


Rocco gira sempre con Lupa. Anche lei ha dei cani?
«Ne ho sei. Li tengo nella mia casa in provincia di Viterbo, dove vivo con la mia compagna, I figli ormai sono grandi, stanno altrove. Giulia fa la montatrice, mentre Giovanni è musicista. Io sono il padre acquisito».


Ha rimpianti sentimentali come Rocco?
«No, per fortuna no, forse mi spaventa di avere fatto degli errori, ma niente del genere».


Quanto le manca Andrea Camilleri? Il prossimo 17 luglio saranno due anni dalla sua morte.
«Mi mancano le risate, era difficile restare seri con lui. Era il mio docente di regia all'Accademia nazionale d'arte drammatica, è lì che l'ho conosciuto, quando avevo 22 anni».


Il ricordo più bello?
«Sono talmente tanti. Abbiamo fatto quattro spettacoli, l'ho visto diventare famoso... Sono diventato vecchio frequentandolo per trent'anni».


Si sente un po' suo figlio?
«Per me è stato molto importante... Ma sì, ho imparato tantissimo da lui, è stato un secondo padre. Il calore di Andrea si percepiva attraverso la pelle».


E il suo papà artista, Francesco, morto tre anni fa?
«Un punto di riferimento per tutta la vita. Quando ero piccolo si andava in giro per musei, si camminava tantissimo. Lui era capace di restare un'ora davanti a un quadro. Ma io mi rompevo, ero un bambino. Ricordo che eravamo davanti alla Venere di Botticelli: sì, bello, pensavo, una donna che esce dall'acqua. Ma una volta vista, per me si poteva proseguire. Lui no, restava lì. Faceva bene, ovviamente. Non ho seguito le sue orme, ma avrei voluto essere capace di dipingere. Un artista non deve fare presentazioni».


Il suo più grande insegnamento?
«Qualunque cosa tu faccia nella vita, falla con il sorriso, altrimenti ogni lavoro diventerà un inferno».

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