La sentenza è arrivata dopo sei anni dalla maxinchiesta di Procura e Forestale. La magistratura nel 2012 portò alla luce un vasto giro di mazzette che partiva dagli uffici del Genio civile e toccava buona parte degli appalti delle pubbliche amministrazioni locali. «Risulta indubitabile si legge nelle motivazioni della sentenza - come sia emerso un preoccupante sistema di gestione degli appalti pubblici nella provincia di Viterbo (2009-2011), sistema connotato da vicinanza e familiarità tra un gruppo di imprenditori interessati alle gare e funzionari pubblici preposti alle procedure». E connotato anche «dalla volontà di una ristretta cerchia di imprenditori di operare, con collusioni e accordi clandestini, al fine di distribuirsi le commesse».
Di fronte a un quadro generale così agghiacciante le pene comminante agli imputati sembrano poca cosa. Il 30 aprile scorso il processo si è concluso con pene dai 6 mesi ai 3 anni e 9 mesi. La più alta a Lanzi, considerato la mente del sistema. Colui che aveva un ruolo centrale e cruciale, che «operava - scrivono ancora - in maniera illecita anche col concorso della collega, che era a conoscenza delle modalità di gestione delle gare adottate e dalle utilità percepite». «Nonostante questo si legge ancora - il collegio ha però ritenuto non fosse possibile trarre, quale automatica e inevitabile conseguenza, l'affermazione della penale responsabilità degli imputati».
I capi d'imputazione contestati agli 8 imputati erano 30. Trenta casi specifici in cui la Procura, tramite intercettazioni, ravvisava fatti delittuosi. Per i quali, però, nella maggior parte dei casi, il collegio non ha trovato appigli per pronunciare una sentenza di condanna. Sabato scadranno i termini per presentare appello alla sentenza di primo grado. C'è da credere che i difensori degli imputati saranno puntali nel depositare il ricorso.
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