Appaltopoli, pronto chi paga?
Riesumate le intercettazioni

toga appoggiata
di Italo Carmignani
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Martedì 17 Maggio 2016, 17:47
A volte ritornano. Non sono gli alieni del cinema, bensì le intercettazioni nel caso chiamato per comodità Appaltopoli, presunte mazzette in cambio di autentici appalti. Ma riemergono proprio come gli zombie, dopo averle seppellite nel processo di primo grado con una decisione vicina, per autorevolezza, a quelle del giudice Pancaldi in Giochi senza Frontiere. Raccolte con rispetto dagli investigatori e ponderate con intelligenza dal pubblico ministero, le telefonate in cui ci si accordava tra impiegati, dirigenti della Provincia e imprenditori sui favori per gli interventi da assegnare, ieri sono state riammesse al processo d’Appello. Un rito, quello di secondo grado, di cui da tempo si è persa la vocazione: vedere se nei documenti già acquisiti del primo grado ci siano delle anomalie. E non rifare il processo da capo con nuovi testimoni o perizie. Orfana di un processo completo di primo grado (ma le condanne si sono avute lo stesso) e con il pericolo incombente della prescrizione già raggiunta per la corruzione, ma non per l’associazione a delinquere, con Appaltopoli la giustizia continua a farsi male da sola. Prosegue nell’esercizio bondage di trarre piacere a smentirsi, a misurare la vanità con gli errori dei giudici passati in precedenza per questo o quel caso. Avvalorando non un senso di giustizia, quanto la vocazione a umiliare la percezione della legge consentendo a tutti di avere torto e ragione. Recita il ritornello: le decisioni dei giudici si rispettano. Ma se questo è il modo per rimediare agli errori del passato, occorre misurarne l’efficacia per il futuro, soprattutto quando tra crimine e processo si contano dieci anni. Altrimenti il rischio è la deriva populista che del doman non c’è giustizia. 
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