Papa Francesco in Mongolia lancia segnali alla Cina E a sorpresa loda Gengis Khan

Papa Francesco in Mongolia lancia segnali alla Cina E a sorpresa loda Gengis Khan
di Franca Giansoldati
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Domenica 3 Settembre 2023, 09:04

ULAN BATOR Finora non era mai capitato che un Papa rendesse omaggio al temibile Gengis Khan, condottiero tra i più valorosi (e sanguinari) di tutti i tempi ma capace di dar vita ad un impero sterminato in cui veniva praticata la tolleranza religiosa. Una specie di precursore della Via della Seta che facilitò persino scambi e comunicazioni tra Asia ed Europa. «Seppe dimostrare una non comune capacità di integrare voci ed esperienze diverse, anche dal punto di vista religioso».

Il richiamo al padre nobile della Mongolia contiene un doppio messaggio - simbolico e politico - ovviamente destinato da Papa Bergoglio ad un uditorio ben più allargato. Il confine cinese dista da Ulan Bator, la capitale in cui è arrivato due giorni fa, meno di otto ore d'automobile anche se Pechino, proprio in questi giorni, ha vietato ai vescovi cinesi di espatriare, negando loro la libertà di raggiungere per poche ore il Papa.

Solo il vescovo gesuita di Hong Kong, Stephen Chow Sau-yan ha potuto farlo. «I governi non hanno nulla da temere dall'azione evangelizzatrice della Chiesa, perché non ha un'agenda politica da portare avanti, ma conosce solo la forza umile della grazia di Dio e di una Parola di misericordia e di verità, capace di promuovere il bene di tutti». Bergoglio ha continuato per tutta la giornata a diramare annunci rassicuranti, aggiungendo che «Gesù inviando i suoi nel mondo, non li mandò a diffondere un pensiero politico» e che i vescovi non sono equiparabili a dei manager, bensì «moderatori tra diverse componenti» per assicurare quella comunione necessaria ad alleviare le sofferenze dell'umanità e lavorare per il bene comune.


Per le strade della capitale, durate la giornata dedicata agli incontri istituzionali, c'era ben poca gente assiepata dietro le transenne in attesa di vedere il «Papa di Roma», tuttavia la minuscola comunità cattolica, meno di mille e cinquecento persone, ha fatto sentire tutto l'entusiasmo possibile. Prima nella piazza dove Bergoglio assieme al presidente della Mongolia dal nome complicato, Ukhnaagiin Khurelsukh, ha sostato in silenzio, come pretende il cerimoniale, sotto l'imponente statua di Gengis Khan. E poi nel pomeriggio nella cattedrale costruita a forma di "ger", le tende dei nomadi nella steppa (definite da Bergoglio spazi abitativi smart e green).

ACCOGLIENZA REGALE

L'accoglienza ufficiale, tuttavia, è stata a dir poco regale a cominciare dalla suggestiva coreografia dei drappelli delle guardie presidenziali con le divise rosse e azzurre, mentre sfilavano impeccabili al suono degli inni nazionali. Il paese pur essendo geograficamente schiacciato tra Russia e Cina ed essendo privo di sbocchi sul mare, riesce a mantenere una posizione equilibrata, coltivando rapporti ottimi con tutti. In questi giorni è stato ripristinato il servizio ferroviario passeggeri Ulaanbaatar-Zamin-Uud-Erlian, vale a dire la prima città cinese dopo il confine, che era chiusa da tre anni. Mentre con la Russia è stato siglato l'accordo per un gasdotto che attraverserà il suo territorio e, al tempo stesso, con gli Usa una intesa per l'estrazione di minerali. Francesco ha elogiato l'esempio che fornisce a livello internazionale difendendo il multilateralismo, cancellando la pena di morte dal suo ordinamento ed opponendosi al nucleare. «Una nazione democratica che attua una politica estera pacifica ma si propone di svolgere un ruolo importante per la pace mondiale, determinata a fermare la proliferazione nucleare».

Nel discorso fatto alle autorità il Papa ha ricordato ancora la cosiddetta «pax mongola» dei tempi di Gengis Khan. «Come dice un vostro proverbio, le nuvole passano e il cielo resta: passino le nuvole oscure della guerra, vengano spazzate via dalla volontà ferma di una fraternità universale in cui le tensioni siano risolte sulla base dell'incontro e del dialogo, e a tutti vengano garantiti i diritti fondamentali». Per Papa Francesco resta un terra simbolo di libertà religiosa (anche se dal 2016 vige l'impossibilità per il Dalai Lama di entrare nel Paese a maggioranza buddista a causa delle pressioni di Pechino). Intanto da Taiwan si incoraggiano gli sforzi di Francesco per normalizzare la situazione con Pechino. La speranza dell'«isola ribelle» è che «contribuiscano a migliorare la situazione della libertà religiosa e dei diritti dell'uomo in Cina, che sta peggiorando».

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