La diplomazia del Papa scongiura una guerra nel Caucaso, cardinale Gugerotti: «Noi parliamo con tutti»

La tensione per il corridoio di Zangezur sul territorio armeno

La diplomazia del Papa scongiura una guerra nel Caucaso, cardinale Gugerotti: «Noi parliamo con tutti»
di Franca Giansoldati
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Venerdì 29 Settembre 2023, 17:53 - Ultimo aggiornamento: 20:31

Il Vaticano lo sa bene: ci sono quaranta chilometri strategici che potrebbero cambiare l'intera geopolitica tra Oriente e Occidente. Si tratta di un corridoio in Armenia per il quale l'Azerbaijan vorrebbe l'extraterritorialità per realizzare e controllare la più breve e sicura rotta di trasporto tra il Pacifico e l'Atlantico, espandendo i commerci tra Europa e Asia. Il Vaticano in silenzio sta cercando di aiutare i Paesi dell'area a dialogare e ad evitare che la situazione possa sfuggire di mano e imboccare una via di non ritorno mentre, proprio in questi giorni, è iniziato il tragico esodo di circa 85 mila armeni . Abitavano nell’enclave del Nagorno Karabach ma dopo i bombardamenti e la resa della settimana scorsa stanno abbandonando in massa case, terreni, proprietà, una vita intera.

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Il prossimo 5 ottobre, a Malaga, sono programmati dei colloqui tra il premier armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev sotto lo sguardo di Francia, Europa, Spagna. «La Santa Sede sta facendo il possibile, abbiamo rapporti diplomatici con l'Arzebaijan. Loro chiedono un contatto, noi non lo negheremo questo contatto. Bisogna vedere a che cosa porterà e in che misura noi saremo influenti nel gestire questo contatto». Il Prefetto del Dicastero per le Chiese orientali, monsignor Claudio Gugerotti, che domani sarà creato cardinale, resta forse il più grande conoscitore vaticano della regione caucasica. Russo, georgiano e armeno fluenti, Gugerotti non nasconde quanto la situazione sia ingarbugliata, complessa e densa di incognite.

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«Ero in Georgia come nunzio, nel 2008, quando arrivarono i carri armati russi. Che quello che sta accadendo anche oggi possa essere l'anticipo di una guerra mi sembra comunque difficile da ipotizzare anche perché non so quali e quante grandi potenze siano disposte a mobilitare mezzi e soldi». In ogni caso la questione del corridoio di Zangezur si presenta difficile, come un ulteriore elemento «fortemente destabilizzante che richiede un attenzione speciale da parte della opinione pubblica mondiale».

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Ciò che sta accadendo in Armenia in questo frangente storico ha per certi versi la certa matrice ucraina che porta alla dissoluzione dell'impero sovietico. «Questi conflitti non sono mai giocati dai protagonisti apparenti ma da chi è alle loro spalle, vale a dire le grandi potenze.

In questo quadro è intervenuto il cambiamento strategico armeno che ha rimproverato i russi della mancata assistenza decidendo di rivolgersi all'altro blocco. Questo cambiamento è qualcosa che sfugge alla nostra previsione. La Armenia ha segni concreti che qualcuno possa aiutarla? Percepisce forse delle debolezze nella Russia che noi non vediamo? In ogni caso quale sarà l'atteggiamento della Russia non si può prevedere se non che Mosca non sta mai ferma con i Paesi che appartenevano al suo blocco». Gugerotti si ferma un secondo e poi con un sospiro ricorda: «Mi trovavo nel 2008 in Georgia quando arrivarono i carri armati».

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Baku non ha mai fatto mistero di puntare da tempo al corridoio di Zangezur quale elemento fondamentale della rotta di transito delle merci, nelle rotte di trasporto internazionale est-ovest. Visto che il conflitto ucraino ha sconvolto le vie di trasporto che prima passavano dalla Russia, è proprio la possibilità di realizzare un percorso sicuro e alternativo a cambiare in prospettiva la geopolitica del Caucaso con il controllo esclusivo azero di quei 40 chilometri. Da Pechino, attraverso l'Asia centrale, il Mar Caspio, il Caucaso meridionale, passerebbero dall'Azerbaijan, transitando dalla Turchia per arrivare fino all'Adriatico. In questo corridoio si incrociano gli interessi delle potenze regionali e dei grandi mercati asiatici. A creare problemi non è tanto la realizzazione ma la richiesta di extraterritorialità.

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Nel 2021, durante un'intervista a AzTV, il presidente dell'Azerbaigian aveva affermato di stare implementando il corridoio di Zangezur, "che l'Armenia lo voglia o no", anche a cosrto di usare la forza nel caso mancasse il consenso dell'Armenia. Aliyev ha anche detto che "il popolo azero tornerà a Zangezur, da cui è stato portato via 101 anni fa".

La tensione nella regione è alle stelle. L'Iran da tempo preoccupata per la minoranza azera e per le ripercussioni sull'intera regione che il corridoio di Zangezur avrebbe, pare abbia già dislocato militari nella zona di confine, al momento solo a scopo preventivo, per controllare ogni evenienza, facendo indirettamente sapere che in caso di attacco all'Armenia, di cui è sempre stato convinto sostenitore, potrebbe intervenire. Erevan collabora strettamente con l'Iran sul piano commerciale ed economico: importanti joint venture, progetti idroelettrici, fornitura di elettricità, gas, lavorazione di idrocarburi, concentrati di rame le cui esportazioni sono uno dei principali prodotti iraniani in crescita, nonostante le sanzioni in corso.

Con la resa del Nagorno Karabakh il presidente azero Aliev ha tenuto diversi discorsi ed è stato chiaro sul fatto che le ambizioni territoriali del suo paese non si fermano al Nagorno-Karabakh. E così in molti osservatori ora si chiedono con insistenza quale sarà il prossimo passo, se sarà ci davvero la prossima guerra per l'Armenia. Naturalmente Baku sa che il presidente Erdogan non si opporrebbe al controllo totale del corridoio Zangezur (che attraversa l'Armenia meridionale fino all'enclave azera di Nakhichevan) poiché darebbe alla Turchia un collegamento ferroviario e autostradale con il resto del mondo turcofono fino all'Asia centrale. Altri attori svolgerebbero un ruolo cruciale nell'area nel plasmare gli eventi nel Caucaso meridionale, per esempio gli Usa che in futuro potrebbero vedere la regione orientata più verso l'Occidente che non appiattita sul mondo russo.

Gugerotti sul ruolo dell'Iran preferisce non sbilanciarsi ma fa sapere che la Santa Sede e i suoi diplomatici per la missione che hanno sono allenati a dialogare con tutti, senza identificarsi mai. “Vedremo se riusciremo ad agganciare l'Iran e se l'Iran si farà ad agganciare” scherza. Del resto, fa notare, si tratta di un paese che in Medio Oriente esercita una influenza difficilmente eludibile in Libano, in Siria e persino in Azerbajian, attraverso la componente religiosa. 

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