«Sta droga è la fine del mondo»: le intercettazioni sullo spaccio con l'autocarro del Comune di Perugia

Le perquisizioni in casa degli indagati da parte della guardia di finanza
di Egle Priolo
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Giovedì 8 Febbraio 2024, 09:06

PERUGIA - «È la fine de u mund sto fum». Un'elegia al “fumo” piuttosto sentita, ma peccato che quest'ode a un panetto di droga sia stata declamata all'interno di un mezzo del Comune di Perugia: mezzo usato anche per lo spaccio di stupefacenti dalla banda scoperta da procura e guardia di finanza per colpa dei troppi rifornimenti di benzina. E peccato anche che a usare quell'autocarro fosse non solo un detenuto che usufruiva del permesso di lavorare fuori da Capanne per la sua riabilitazione dopo anni di carcere, ma anche un dipendente comunale, assunto come operaio. Si tratta di Giuseppe Di Filippo, detenuto per cumuli di condanne legate alla droga e ammesso al lavoro esterno, e Luciano Iacovone, imbianchino 56enne dell'Unità operativa Opere pubbliche di palazzo dei Priori: il primo raggiunto da un'ordinanza di custodia in carcere, il secondo agli arresti domiciliari e già licenziato dal Comune.

A tornare a Capanne anche Lucien Covarelli, Alexander Pereyra Arias e Vincenzo Auricchio (fruitori di benefici carcerari per condanne in corso di espiazione), mentre per un sesto indagato, considerato coinvolto nell'attività di spaccio, il gip Lidia Brutti ha stabilito l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Alla banda la procura diretta da Raffaele Cantone, che ha delegato le indagini al Nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Perugia, è arrivata dopo una segnalazione della polizia locale per i sospetti ed esagerati rifornimenti di benzina: «eccessivi rispetto al chilometraggio», spiega il gip che hanno fatto ipotizzare agli investigatori «rifornimenti fittizi o parziali – con la complicità del titolare del distributore» da cui venivano sempre effettuati. Ma l'idea di un'appropriazione dei soldi pubblici (i pieni erano pagati con una scheda carburante del Comune) è stata presto superata da una sorpresa: grazie alle intercettazioni audio e video decise dal pubblico ministero all'interno dell'autocarro e del box, la realtà era anche peggiore. Perché quel mezzo è stato utilizzato, secondo le accuse, «per lo svolgimento di una intensa attività di spaccio di stupefacenti, di cui lo Iacovone faceva anche uso, servendosi appunto del mezzo del Comune per recarsi, in orario di lavoro, presso acquirenti e fornitori». Con l'uomo pagato «in natura» con dosi di droga, per il suo lavoro extra: i magistrati lo ritengono concorrente nell’acquisto di 300 grammi di hashish e nella cessione di un etto e mezzo di cocaina, più quei grammi di polvere ceduti anche a un parente «al fine di farla spacciare».
In due mesi di indagini, tra pedinamenti, video e foto, la guardia di finanza è riuscita a documentare cessioni pari a 1,7 chili di hashish e 8 etti di cocaina, mentre ieri durante le perquisizioni nell'abitazione perugina di uno degli indagati sono stati sequestrati un altro chilo di hashish, diviso in panetti, e banconote per un totale di 1.250 euro, oltre - in un bar di Ponte San Giovanni, gestito da uno degli inquisiti - 100 grammi di hashish e 900 euro.
Secondo gli investigatori (con accuse ovviamente ancora tutte da dimostrare e da cui gli indagati avranno modo di difendersi), il detenuto, di origini campane e dimorante a Umbertide, pare non avesse affatto troncato i rapporti con il contesto criminale per cui era stato più volte condannato, «tanto da essere in grado di utilizzare collaudati canali per l'approvvigionamento di hashish e cocaina», ha sottolineato Cantone.

Tanto che il gip nell'ordinanza spiega come, per lui e gli altri destinatari delle misure, «non vi è stata alcuna rieducazione, né emenda». Nei loro confronti, insiste il giudice Brutti, «l'opera di rieducazione sociale ha fallito».

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