Terni. La presidente del tribunale Velletti: «Separazioni e divorzi: valutare se c'è violenza prima di decidere»

Terni. La presidente del tribunale Velletti: «Separazioni e divorzi: valutare se c'è violenza prima di decidere»
di Giuliana Scorsoni e Vanna Ugolini
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Martedì 30 Gennaio 2024, 08:04 - Ultimo aggiornamento: 12:30

TRIBUNALE

Un padre non è un buon padre se picchia la moglie, ma non i bambini. La violenza è grave sempre, non c'è una classifica, una graduatoria. Nè per quella fisica nè nelle altre forme più difficili da riconoscere e, soprattutto, da provare in tribunale. La violenza non finisce quando termina la relazione, quindi le vittime vanno protette anche dopo. Infine, è un pregiudizio fin troppo radicato che le donne mentano nei processi civili.
Se si combattono questi quattro stereotipi anche nelle aule di tribunale si può sperare di combattere la violenza domestica e di contribuire a creare un cambiamento culturale. Ne è convinta Monica Velletti, presidente del tribunale di Terni, con un bagaglio importante alle spalle di procedimenti in materia di diritto di famiglia, oltre che componente della relativa commissione ministeriale che ha dato alla luce la "riforma Cartabia". Che è anche convinta che la battaglia contro la violenza di genere non si porta avanti solo nelle aule del tribunale penale. Anzi, è forse in quelle del tribunale civile, dove si discutono separazioni e divorzi, che si può dare un sostegno concreto a chi è vittima di violenza e, anche, cominciare ad attuare quel cambiamento culturale attraverso gli strumenti del diritto. A patto che anche i giudici stessi siano disponibili a superare alcuni stereotipi e a mettersi in gioco.

I NUMERI

I numeri dicono che in oltre il trentaquattro per cento delle separazioni c'è sullo sfondo la violenza. E' quella la percentuale di coppie in cui, a Terni - ma il dato è sostanzialmente in linea con quello nazionale - una delle parti afferma di essere stata vittima di violenza. «E stiamo parlando quasi sempre di violenza fisica - spiega la presidente Velletti, - perchè è sempre difficile provare quella psicologica. Così come spesso non c'è consapevolezza a qualificare certi comportamenti come violenza economica». La "quota di violenza" aumenta quando si vanno ad affrontare i divorzi - in questo caso oltre in oltre il 35 per cento delle coppie c'è almeno una delle parti che sostiene di essere vittima di violenza. Se le coppie non sono sposate la percetuale aumenta ancora: 49 per cento.
In alcuni casi è la prima volta che la vittima, nella stragrande maggioranza dei casi la donna, lo ammette. Ma ci sono coppie che si separano quando sono in corso anche procedimenti penali per violenza. «Per questo è fondamentale che il processo civile sia integrato con i dati di quello penale».
«Per la mia esperienza - spiega la presidente Velletti - ho capito che la violenza domestica non si combatte solo nell'ambito dei processi penali. La maggior parte di chi commette i reati di maltrattamenti, lesioni, stalking, è composta da uomini incensurati. Dunque la pena non è un deterrente valido».
Quello che può indurre un uomo a cambiare il suo comportamento «ritengo possa essere la patente del cattivo genitore. Intanto perchè molti degli uomini violenti hanno comunque un rapporto con i figli e tengono, in qualche modo, a loro. Poi perchè la sospensione della potestà genitoriale è "socialmente visibile"». A scuola lo sanno, negli ambiti dove i figli fanno sport lo sanno (perchè il padre non può andare a prenderli).
Ad ogni modo, quando si tratta di decidere sull'affidamento dei figli «non si può mettere sullo stesso piano il genitore che ha esercitato la violenza e quello che l'ha subita. Sarebbe un'altra violenza che si fa alla vittima». E non bisogna pensare che la violenza finisca quando si sancisce la separazione o il divorzio: «Se l'ordinamento non interviene adottando provvedimenti a tutela della vittima, il violento potrebbe continuare ad esercitarla. Un approccio che fa la differenza e che contribuisce anche alla prevenzione della violenza.

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