Il Raffaello scippato

Particolare della Pala Oddi di Raffaello, Musei Vaticani
di Francesca Duranti
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Martedì 4 Agosto 2020, 19:04
PERUGIA - Il restauro della pala raffaellesca, fortemente voluto dalla Direzione dei Musei per poter aggiungere nuovo materiale di studio in occasione dell’anno dedicato al celebre artista anche in Vaticano, è stato compiuto nel Laboratorio di Restauro Dipinti e Manufatti lignei dei Musei Vaticani per mano di Paolo Violini con la supervisione di Francesca Persegati. L’intervento sul dipinto, che adornava una cappella della Chiesa di San Francesco al Prato, ci mostra come l’opera goda di ottima salute. Perché, allora, non pensare ad un prestito futuro come è stato per la Pala dei Decemviri del Perugino? Del resto, dal 1815 non è uscita dalla Pinacoteca Vaticana.

Nel 1797 il commissario francese Jacques Pierre Tinet, addetto alle requisizioni di opere d'arte durante la prima campagna napoleonica in Italia, arrivò a Perugia scortato dalle truppe per requisire capolavori da destinare al Grande Museo Nazionale di Parigi, l'attuale Louvre. Dopo aver individuato le opere, Tinet le caricò su carri sequestrati ai perugini più facoltosi, trasportandole fino a Livorno, da dove con la nave le portò in Francia.
In quella prima requisizione il commissario si portò via da Perugia trentuno dipinti, fra questi la Pala Oddi di Raffaello custodita a San Francesco al Prato. Con la caduta dell'Impero Francese iniziarono le restituzioni, ma per i perugini non andò molto bene. Il Cardinale Ercole Consalvi delegò nel 1814 lo scultore Antonio Canova di recuperare i capolavori. Canova partì scortato da soldati austriaci e prussiani, riuscendo nell'impresa di riportare in Italia la maggior parte delle opere.
I perugini attesero che i tanti capolavori tornassero, ma la vicenda si concluse con la decisione del Cardinale di restituire a Perugia solo otto opere, ritenendolo già nobile atto di generosità; ma, tra queste non v’era alcuna traccia dei capolavori di Raffaello, come la Pala Oddi, conservata da allora dentro i Musei Vaticani e da lì mai più uscita.
La Pala Oddi fu commissionata nel 1501 a Raffaello da Alessandra degli Oddi per la cappella di famiglia a San Francesco al Prato. Il capolavoro aveva goduto di una fortuna storiografica ininterrotta a partire dal commento che il Vasari scrisse nella seconda edizione delle Vite, dove era stata descritta come la più peruginesca delle opere del pittore, capace di dare brillante dimostrazione dei suoi esordi. Era custodita in “un gran credenzone di legno chiuso in due chiavi” ed era stata restaurata la prima volta nel 1787 dal pittore Francesco Romero. Quando la pala entrò a far parte della collezione della Pinacoteca Vaticana (1815), fu allestita insieme alla Trasfigurazione, alla Madonna di Foligno, alla predella della Deposizione Baglioni raffigurante le Virtù teologali, oltre alla Pala di Monteluce disegnata da Raffaello ma realizzata da Giulio Romano e Giovan Francesco Penni.
Nell’anno delle celebrazioni raffaellesche, la Pinacoteca Vaticana si presenta nella nuova sistemazione della Sala VIII dedicata a Raffaello, dove sono esposte le tre pale identitarie delle diverse fasi della sua attività artistica (Pala Oddi, Madonna di Foligno, Trasfigurazione), ora riallestite con le “ritrovate” cornici napoleoniche e ottocentesche, cercate e ritrovate nei depositi non senza difficoltà e sottoposte anch’esse ad un accurato restauro, svoltosi nel medesimo laboratorio parallelamente a quello del dipinto. Una nuova illuminazione permette di apprezzare i dipinti e i celebri arazzi come mai prima d’ora.
Il primo grande restauro conservativo della Pala Oddi (che è un trasporto su tela da tavola, effettuato in Francia) risale agli anni Cinquanta del Novecento. Questo raccontano i restauratori dei Musei Vaticani che, per i cinquecento anni di Raffaello, hanno voluto intervenire su di una pittura offuscata dal tempo e così restituire la magnificenza cromatica ad opera della mano dell'urbinate.
Prima del restauro, il manto della Vergine appariva quasi di un azzurro ceruleo spento a tinte piatte, oggi è tornato a splendere nel suo panneggio blu di lapislazzuli. Violini, che da anni si occupa del restauro delle opere di Raffaello, è rimasto affascinato dalla materia-colore di tutti i panneggi blu presenti nel dipinto, una texture granulosa della preziosa pietra dura che è riaffiorata nella sua brillantezza originale. Il colore è stato portato alla luce attraverso applicazioni ripetute nel tempo di solventi in grado di rimuovere lentamente dalla superficie il filtro di una storia travagliata. I fondi azzurri che contrastano con il bianco dei putti ricordano gli azzurri delle terrecotte invetriate dei Della Robbia e gli “scuri” dei panneggi hanno ridato l’originale tridimensionalità a tutta l'opera.
L’accurato e complesso lavoro, occasione di studio approfondito da parte dei restauratori coinvolti a vario titolo, ha messo in luce particolari quali le cesellature raffaellesche tra le pieghe dei manti, una perfezione stilistica giovanile da miniaturista che si nota oggi ancora di più grazie anche al nuovo impianto di illuminazione. La predella della pala non è stata restaurata perché è in ottimo stato di conservazione, come del resto anche in generale si presenta l'Incoronazione della Vergine.
 
Francesca Duranti
 
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