Concorsopoli, Marini: «Ecco come facevamo le nomine». Bocci: «Io e lei abbiamo avuto maestri diversi»

Concorsopoli, Marini: «Ecco come facevamo le nomine». Bocci: «Io e lei abbiamo avuto maestri diversi»
di Egle Priolo
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 4 Ottobre 2023, 07:05 - Ultimo aggiornamento: 07:20

PERUGIA - Martedì 3 ottobre, mattina. L'aula del Capitini ospita le ultime tre ore di udienza del processo Concorsopoli. Le accuse per i presunti concorsi in sanità con l'aiutino sono anche gravi, dall'associazione per delinquere alla rivelazione del segreto d'ufficio, da una «rete di sistema» ai favori agli amici di amici, tra liste colorate e pizzini. Eppure ieri a difendersi e insieme ad attaccare è stata l'unica vera protagonista dell'inchiesta che ha terremotato l'Umbria nel 2019: la politica. Quella che comunque non paga perché sulla carta è innocente e alta, per definizione. Sempre presente e mai uscita dallo sfondo, detta il timing di un processo che tende a sfiancare anche gli appassionati e nella sua esplicitazione più popular serve anche solo a levarsi qualche sassolino da scarpe non abituate all'inattività.

Ed è così che sul banco dei testimoni arrivano un'ex vicepresidente della Regione e un'ex assessore della giunta di Catiuscia Marini: a chiamare Carla Casciari e Fernanda Cecchini è stato Nicola Pepe, avvocato dell'ex presidente finita nell'inchiesta insieme a vertici del Pd e della sanità in Umbria a.C., avanti Concorsopoli. Il senso della sua strategia difensiva Pepe lo ha spiegato in aula: «diritto di difesa e riabilitazione». E allora si capiscono le domande sulla figura istituzionale di Catiuscia Marini: «precisina e sgobbona», «preparata anche più delle persone a cui delegava le questioni». Governatrice di quelle che non devono chiedere mai. Tanto meno favori: «Mai successo», ha confermato Casciari, pur ribadendo che non avrebbe avuto comunque motivo di chiederli a lei. Ingerenze o pressioni? Mai e poi mai, dal banco dei testimoni la voce è una sola.
Eppure le contestazioni sulle correnti, le mozioni, le divisioni – compresa la crisi di giunta del 2016 per le nomine in sanità – fanno alzare il dito a Marini e Gianpiero Bocci, ex sottosegretario e segretario regionale dem. Dichiarazioni spontanee su leggi, normative, ma in fondo c'è sempre lei: la politica. E la “amicinimicizia” tra due alti esponenti del partito che dal 2010 «non si parlavano nemmeno più» e oggi devono dimostrare che “c'eravamo tanto odiati, come la facevamo insieme un'associazione per delinquere?”. Dritto per dritto in aula non lo dice nessuno, ma il senso è quello. Tanto che farebbe gioco sottolineare le riduzioni giornalistiche che all'epoca parlavano di correnti, di mariniani e bocciani. E invece in una partita a scacchi mai così sopraffina (è la politica, bellezza), si finisce per negare gli schieramenti contrapposti, se non con le parole di Bocci che parla solo di «maestri diversi» per lui e Marini.
L'ex presidente prende il microfono, quasi sfora i venti minuti, racconta la crisi con l'ex assessore alla sanità Luca Barberini e spiega il sistema delle nomine in Regione: «Le abbiamo fatte con le due giunte, nel 2013 e 2016.

Abbiamo sempre scelto tra curriculum che puntavano all'innovazione del sistema sanitario, alla sua programmazione e alla conoscenza dei servizi. Non è vero che abbiamo nominato sempre gli stessi: nel 2016, su 4 uno solo era stato direttore. Duca? Era direttore regionale, era stato per poco dg all'Asl a Città di Castello, ma come ripetuto spesso la scelta di spostarlo dalla Regione all'Azienda ospedaliera di Perugia fu condizionata dal gradimento massimo del rettore. La crisi con Barberini? In quel momento la sua era una posizione isolata in giunta, ha rimesso il mandato e poi è rientrato, ma la discussione – politica – non riguardava nemmeno l'Azienda ospedaliera di Perugia». Messe altre distanze dagli altri coimputati dell'accusa più grave, il finale passa a Bocci. Garbato nella sua veracità da uomo della Valnerina, chiama tutti dottore e dottoressa e rimarca le differenze di percorso, anche se finite sotto «lo stesso tetto del Pd»: «In quella stagione si dà vita a un soggetto politico con storie che fino a poco prima si erano contrapposte in parlamento. Perché il Pd nasce con la parola d'ordine inclusività? Perché si trattava di mettere insieme percorsi diversi». Insomma, uniti ma separati. Come per la loro difesa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA