Alessandro Benetton: «Così rendiamo concreta la sfida green»

Il presidente della holding premiato all’Onu per l’impegno ambientale e sociale. «Elemento strategico per fare business e costruire il futuro»

Alessandro Benetton, 59 anni, riceve dalle mani del Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres, il riconoscimento di “Global Advocate of the Year”
di Umberto Mancini
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Mercoledì 20 Dicembre 2023, 16:07 - Ultimo aggiornamento: 21 Dicembre, 07:35

«Michael Porter, che è stato il mio mentore ad Harvard, mi ha insegnato che le imprese devono occuparsi delle comunità e dei territori, generando valore condiviso. Diversamente, non potranno mai prosperare nel medio-lungo periodo. È una verità che oggi è diventata ancora più cogente».

Alessandro Benetton, 59 anni, fondatore della società di private equity 21 Invest e, da due anni, presidente di Edizione, ha ricevuto pochi giorni fa a New York, dalle mani del Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres, il riconoscimento di “Global Advocate of the Year” per l’impegno sulla sostenibilità ambientale e sociale portato avanti nel suo ruolo di imprenditore. 
«Misurare gli effetti che le attività produttive generano a livello ambientale e sociale consente di avere una visione di insieme, fondamentale per decidere quale direzione vogliamo prendere. Considerare la sostenibilità un elemento strategico di fare business è, per noi, uno dei modi per costruire il futuro. Un altro è investire in innovazione tecnologica e fare tutto il possibile per promuovere in modo concreto l’occupazione dei più giovani», commenta Benetton in questa intervista a MoltoFuturo.
Ci fa qualche esempio concreto di questo approccio strategico?
«La sostenibilità, senza generare effetti sulle persone, rischia di restare un concetto vuoto, impalpabile. Penso alla mobilità: i passeggeri chiedono sempre più di viaggiare su reti e mezzi rispettosi dell’ambiente. È quello che sta facendo, ad esempio, il Leonardo da Vinci, il principale aeroporto del nostro Paese, più volte premiato come il migliore d’Europa. A Fiumicino da anni le infrastrutture vengono realizzate solo attraverso canoni stringenti di cyrcular economy, l’acqua viene risparmiata grazie a un innovativo sistema idrico di raccolta e diffusione mentre la raccolta differenziata, grazie anche alla collaborazione attiva dei viaggiatori, si attesta su punte del 98-99%. Inoltre le anticipo che, entro il 2028, tutto il fabbisogno energetico dell’aeroporto sarà fornito da energie rinnovabili, che sostituiranno l’attuale centrale a gas».
Il settore delle infrastrutture è considerato, al giorno d’oggi, uno dei maggiormente inquinanti. Come fare a ridurre drasticamente le emissioni?
«Innanzitutto andando oltre la semplice “cura del ferro”, che è importantissima, ma da sola non basta. Sull’infrastrutturazione ferroviaria, almeno in Europa, si è giustamente investito e si investe ancora molto, ma ora bisogna fare lo stesso anche per accelerare la transizione ecologica di altri mezzi di trasporto di massa, come gli aeroporti e le reti autostradali e urbane, su cui viaggiano ogni giorno centinaia di milioni di persone. Questi settori, se ben indirizzati attraverso sistemi regolatori chiari e stabili, possono essere protagonisti del processo di decarbonizzazione».
Una delle grandi sfide è il cambiamento climatico, come vi state impegnando in questa direzione?
«Le aziende tecnologiche legate al clima rimodelleranno rapidamente l’economia globale. Sulla scia di un’esperienza lunga 30 anni nella costruzione di nuovi campioni industriali, abbiamo dato vita di recente a 2100 Ventures, proprio per scommettere sui giovani talenti con un supporto fatto di investimenti, relazioni, know how, aiutandoli così ad affrontare i nuovi mercati che si apriranno nell’ambito del climate-tech».
Il premio ricevuto a New York è arrivato alcuni giorni dopo la chiusura di COP28, nel quale è stato stabilito l’obiettivo di rinunciare alle fonti fossili entro il 2050. Che ne pensa?
«Ho letto voci diverse su questo risultato. Personalmente sono positivo, in quanto nessuno si è alzato dal tavolo ed è almeno stata fissata un’asticella “globale”. Ora ciascuno di noi deve fare la sua parte per rispettare la tempistica concordata, e serve su questo una collaborazione forte e inedita tra pubblico e privato. Come Mundys, dimezzeremo le emissioni dirette delle nostre infrastrutture entro il 2030, azzerandole al più tardi al 2040». 
Qual è la sensazione personale che si porta a casa dall’incontro con Guterres?
«Che siamo sulla strada giusta, e che bisogna andare avanti con tutta la determinazione del caso, creando le condizioni perché le cose accadano.

Dopo la consegna del premio, mi sono ritrovato in mezzo al management di Edizione, Mundys e Avolta e ai nostri partner di Blackstone e Acs. Lì ho avuto la sensazione netta di aver dato vita a una compagine coesa, dal cuore e testa italiani con passaporto mondiale, che ha davvero l’opportunità di cambiare le cose».

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