Nicola Pietrangeli: «A Wimbledon trionferà Djokovic. Io a Londra? Ecco perché non ci vado più da 5-6 anni»

«Il bello degli inglesi è che fanno rispettare le regole. Ai miei tempi l'erba era più veloce, ora si sta a fondocampo»

Nicola Pietrangeli: «A Wimbledon trionferà Djokovic. Io a Londra? Ecco perché non ci vado più da 5-6 anni»
di Vincenzo Martucci
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Lunedì 3 Luglio 2023, 06:52 - Ultimo aggiornamento: 4 Luglio, 08:51

Oggi parte Wimbledon edizione 136: per la prima volta dal 2003 la testa di serie numero non è un Fab Four (Federer-Nadal-Djokovic-Murray), ma Alcaraz, n. 1 della classifica ATP. Diretta tv Sky (un match la sera alle 21 su SuperTennix). Sono stati riammessi gli atleti russi e bielorussi, e i punti validi per la graduatoria del computer. In palio 52 milioni di euro di premi: 2.750.000 a vincitore e vincitrice del singolare, 64.300 a chi gioca il 1° turno. Il favorito è Djokovic (esordio con l'argentino Cachin) che punta ad eguagliare gli 8 urrà-record di Federer. L'Italia schiera 13 giocatori, 6 uomini e 7 donne. Subito Sinner-Juan Manuel Cerundolo (Arg), sul Centre Court, e Musetti-Varillas (Per); fra le donne: Trevisan-Sorribes Tormo (Spa), Cocciaretto-Osorio (Col), Stefanini-Kontaveit (Est).

Nicola Pietrangeli, perché Wimbledon è unico?
«Perché lo dice la parola stessa: non esiste un altro torneo come quello, a cominciare da tutti i giocatori vestiti di bianco. Perché da 100 e più anni (si disputa dal 1877) è sempre uguale. La tradizione è la grande forza degli inglesi, insieme alle regole».

 

Qual'è la regola che le piace di meno?
«Quella che non mi permette di essere socio del club anche per una sola settimana l'anno: ho fatto finale di doppio e semifinale di singolo ma non ho vinto un titolo e quindi non sono socio onorario, così mi invitano ma in tribuna internazionale, di fronte al Royal Box: lì non conosco nessuno, e così da 5-6 anni non ci vado».

E la regola più bella?
«Che con tutti i loro difetti gli inglesi fanno rispettare le regole».

Se chiude gli occhi che cosa rivede del suo Wimbledon?
«L'ingresso in campo sul Centre Court, l'etichetta d'accesso del Royal Box, la colazione, il tavolo fisso solo per il Duca di Kent e gli altri dove capita».

La regola delle teste di serie che sull'erba non seguivano la classifica le piaceva?
«No, ma era giusto e nessuno la contestava.

E comunque, all'epoca l'erba era più veloce di oggi, si giocava in avanti, andando a rete, mentre oggi - da Borg che ha rivoluzionato il gioco sul verde - si sta prevalentemente da fondocampo, e allora c'era meno tempo per prepararsi alla superficie. Noi avevamo sempre la coppa Davis e non giocavamo il Queen's e potevi provare il campo solo un'ora da giovedì. Io mi allenavo con Drobny, quando era nella nostra squadra, che era socio del Club, e così ci preparavamo ad Hurlingham».

Sull'erba quale era la difficoltà maggiore per gli europei nati e cresciuti sulla terra?
«Il modo di correre: dopo un po' ti abituavi, ma australiani, americani ed inglesi mettevano i piedi in un certo modo e riuscivano a scivolare: se ci provavamo noi ci spaccavamo una caviglia».

A Wimbledon lei ha perso nei quarti con Nielsen nel 1955 e in semifinale nel 1960 con Laver.
«Nielsen lo battevo sempre lì persi per 7-5 al quinto: il punteggio dice tutto. Con Laver ricordo soprattutto che ero avanti due set a uno e che poi Neale Fraser venne da me negli spogliatoi e mi disse: "Non ti arrabbiare, ma sono contento che hai perso". Perché a me i mancini come lui e Laver non davano fastidio e quell'anno lo battei nella finale di Davis a White City».

Con Laver era avanti 6-4 3-6 10-8, magari era stanco per aver rimontato da 1-5, magari le diede fastidio il vento. Perse 6-2 6-4 gli ultimi due set.
«Certe partite le ricordo benissimo, altre meno. Proprio non so che cosa successe quella volta. Ma certo Laver era Laver».

Ma sull'erba vince chi attacca, chi va veloce, chi serve meglio?
«Oggi è un'altra cosa: non fai in tempo ad arrivare a rete per la volée che già t'è arrivata la risposta fra i piedi. Sono più atleti, con queste racchette puoi fare cose che non quelle di legno non ti sognavi. E' un altro gioco. Però i giocatori sono macchine: giocano troppo e si fanno male».

Ahinoi, è il caso di Berrettini cui lei ha tirato le orecchie.
«Sono proprio curioso di vederlo al primo turno contro Sonego: se non serve al 90% sono dolori, ma quando serve bene è un brutto pesce. Sul rovescio pianta male i piedi, così barcolla, e la palla gli va fuori: le gambe non sono all'altezza del tronco. Io sono stato fortunato perché prima ho giocato a pallone. Attenzione: non volevo dargli suggerimenti, ho solo detto che lo vedo distratto dal fuori campo - interviste e pubblicità - e non capisco quando dice che potrebbe smettere di giocare a tennis. Chi c'ha er pane non c'ha i denti».

Musetti è l'italiano che le piace di più.
«È quello che gioca meglio ma non è il più forte. Che è Sinner».

Se Wimbledon non lo vince Djokovic chi lo vince?
«Diciamo che non è sicuro ma lo vince lui. Altrimenti, è un terno al lotto. Direi Alcaraz: gli sta crescendo la C di campione. Poi ce ne sono tanti bravissimi».

Ma a lei quale tennista piace?
«Per come gioca mi diverte Davidovich Fokina. Gli altri sono tutti uguali, a parte Kyrgios: l'unico che non fa vedere che sta lavorando e così fa spettacolo».
 

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