IMPEGNO E MESSAGGI
D’altra parte la tennista giapponese ha un carattere d’acciaio impossibile da scalfire, che si tratti di un’avversaria o di un’eccessiva attenzione mediatica. Naomi è giovane e non solo non sente la pressione, ma addirittura se la crea intorno, se in ballo c’è un ideale. A New York l’abbiamo vista scendere in campo con sette mascherine nere tutte diverse: su ognuna c’era scritto il nome di un afroamericano vittima della violenza. L’ultima era dedicata a Tamir Rice, dodicenne ucciso dalla polizia in Ohio nel 2014. Dopo i vigliacchi colpi allaa schiena a Jacob Blake - quelli che hanno spinto i Bucks e poi tutta la Nba a non scendere in campo - è stata la prima a sposare la protesta, spostandola dal basket figlio dei ghetti al tennis delle famiglie più aristocratiche. Era in semifinale al torneo di Cincinnati, Naomi (ma si giocava sempre a New York), e il suo gesto forte, deciso, si è trascinato dietro sia la Wta che i colleghi dell’Atp. «Sono stanca di sentire quello che succede negli Stati Uniti, mi fa male allo stomaco», ha detto nella conferenza dopo la finale. Un impegno che ha cambiato anche la percezione che il suo Giappone ha di lei: se prima qualche sponsor aveva storto il naso di fronte alla forza del suo impegno politico, ora pesano le parole che le dedicano media ed esponenti politici: «Una vittoria contro il razzismo», è a grandi linee il ritornello. Di quelli che non sono mai cantati abbastanza.
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