Il torneo c’è, con arie da grandeur sempre più giustificate: bello, ricco, in un contesto architettonico che suscita, ogni anno, la stessa meraviglia, su campi tirati al lucido come e meglio del solito, per via di quella efficienza tutta italiana (e romana) che sarebbe il caso di catalogare ormai come proverbiale. Il pubblico torna, ed è la notizia più bella, oltre che un toccasana, perché la città ripopola uno dei suoi luoghi prediletti, come una creatura da coccolare. I campioni ci sono sempre, perché Roma è ormai stabilmente nel gotha del tennis mondiale, dunque nessuno può rinunciarci, sebbene incastrata tra un torneo analogo, Madrid, e un mostro sacro, Parigi (motivo per cui si attende la promozione dall’Atp come manna dal cielo).
Ci sono anche russi e bielorussi, lo registriamo senza esultare né indignandoci: pro o contro la loro partecipazione, hanno ragione tutti, e allora apprezziamo che alla fine le ragioni dello sport abbiano prevalso su quella della geopolitica.