Valter Di Salvo: «Il “mio” Qatar è diventato grande. Può sognare gli ottavi del Mondiale»

Valter Di Salvo: «Il “mio” Qatar è diventato grande. Può sognare gli ottavi del Mondiale»
di Benedetto Saccà
7 Minuti di Lettura
Venerdì 26 Novembre 2021, 12:47

ROMA Davanti alle dune e alle magnificenze del Qatar, ha trovato una casa e un futuro da tempo – «ad aprile sono 12 anni...» – un’eccellenza italiana dello sport. Si chiama Valter Di Salvo, è romano e ha lavorato nell’area tecnica della Lazio, del Real Madrid e del Manchester Utd. Dal 2010 è il direttore della Performance and Science della federazione del Qatar e soprattutto dell’Aspire Academy, la struttura che traccia la rotta delle attività delle nazionali qatariote.

Di Salvo, ci siamo: 360 giorni al Mondiale.

«Io sono arrivato in Qatar nell’aprile del 2010, sette mesi più tardi, è stato assegnato il Mondiale. Da quel momento è partito il vero progetto. Subito. C’è stata una reazione immediata all’assegnazione. Lo diceva il presidente della Fifa, Infantino, giusto qualche giorno fa: è il primo Mondiale in cui il paese organizzatore è pronto con largo anticipo.

A volte gli stadi vengono ultimati solo qualche giorno prima dell’inizio».

Gli stati sono già pronti?

«Ci saranno otto stadi. Tutti belli. Il sesto sarà presentato proprio tra qualche giorno e gli ultimi due sono praticamente terminati».

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Com’è possibile?

«Grazie alle risorse e ad alcune oggettive facilità».

Sarà un Mondiale unico?

«Per certi aspetti lo sarà. Di sicuro sarà diverso».

Perché?

«Innanzi tutto perché si giocherà in un territorio molto contenuto. E poi il periodo è differente. Non ci saranno spostamenti aerei tra i ritiri e gli stadi. Del resto gli ultimi tre tornei, ovvero in Sud Africa, in Brasile e in Russia, si sono giocati in paesi grandissimi. E, ad esempio il viaggio a volte richiedeva pure quattro ore di aereo. Questo stanca molto gli atleti, specie nei rientri. Si passava poi dal freddo al caldo, soprattutto in Brasile. Qui non ci saranno problemi, perché il trasferimento più lungo sarà di mezz’ora. Avremo ovunque la stessa temperatura e la stessa altitudine, visto che sarà tutto sul livello del mare. Per i calciatori saranno vantaggi».

Ma fa caldo, lì, a novembre?

«In questo periodo ci si veste con la maglietta a maniche corte, la sera si sta stupendamente, 23-24 gradi, una bella primavera. Il clima non è caldo, anzi a volte bisogna mettere un maglioncino. Nei centri commerciali, invece, c’è un’aria condizionata...».

Un paese delle meraviglie?

«Il Qatar è grande come l’Abruzzo. E Doha è la capitale. Devo dire che, davanti ai miei occhi, vedo uno stato molto diverso rispetto a quello che ho conosciuto nel 2010. In tutto».

Cioè?

«È un paese ormai proiettato verso la modernità, capace di sposare l’idea del nuovo e dell’avanzato sul piano del design, dell’architettura, della tecnologia, delle infrastrutture. Faccio l’esempio della metropolitana».

La metropolitana.

«Sì, hanno aperto quattro linee e i treni sono tutti senza conducente. Hanno costruito da zero. La tecnologia e le applicazione sono le direttrici che hanno preso».

E con il Covid?

«Esiste una app che si chiama Ehteraz ed è come la nostra Immuni: serve per tracciare i contagi. Se non ce l’hai, qua non vai da nessuna parte. Ma da anni abbiamo una applicazione che consente di rinnovare i documenti via smartphone. Patente, carta d’identità. Pure le multe si possono pagare. Tipo lo Spid in Italia».

Di Salvo, che cos’è l’Aspire? È una squadra?

«Non è una squadra, non partecipa a nessun campionato. È l’Academy della nazionale di calcio del Qatar».

Un vivaio gigante?

«È una grande scuola della nazionale, esatto. Visioniamo nei club i giovani giocatori qatarioti di 12 anni circa e scegliamo i migliori, che entrano subito nell’accademia. A loro forniamo lo studio, una high school riconosciuta a livello internazionale, che li accompagna fino ai 19 anni. I ragazzi studiano, lavorano in campo e hanno la loro residenza come un college americano. Tre volte alla settimana si allenano la mattina e il pomeriggio. E vanno a scuola, naturalmente. Già a 14 anni giocano per le rappresentative giovanili della nazionale locale. Cambiano solo la magliette: da quelle dell’Aspire a quella della nazionale. Perché lo staff è lo stesso».

E poi?

«Solo nel fine settimana i ragazzi tornano a giocare nella squadra di appartenenza. Insomma il campionato lo disputano con il proprio club. È un concetto che aveva strutturato già la Francia con il centro di Clairefontaine. Lì, però, portare avanti l’idea è stato complicato perché le distanze non erano brevi. Qui, invece, tutto è a Doha».

E i risultati arrivano?

«Con la prima squadra siamo diventati campioni d’Asia nel 2019 e, giusto nel 2014, la stessa ossatura della squadra si era laureata campione d’Asia Under 19. Li avevamo presi a 13 anni, i ragazzi, e con un processo di formazione sono arrivati al titolo».

Quanto sarà competitivo il Qatar?

«Abbiamo fatto di tutto per costruire una squadra competitiva. Sappiamo bene però che il livello internazionale è tutta un'altra storia. L'obiettivo è riuscire a passare la fase a gironi. E poi venga quel che venga: arriveremo dove le nostre forze ci permetteranno di arrivare. Molto dipenderà dal sorteggio».

Per caso ha scoperto una formula magica?

«Questo è il nostro segreto: creare una cultura di allenamento e un ambiente vincente. Dietro a questo successo c’è un programma seguito da tecnici e preparatori atletici italiani, inglesi, spagnoli, polacchi. Abbiamo avvicinato esperti di diverse culture e dotazioni tecnologiche importanti. È stata decisiva, però, la scelte delle persone».

E se i ragazzi non diventano calciatori?

«Li seguiamo anche durante l’università. E li appoggiamo sia che diventino giocatori sia diventino ingegneri, architetti o figure del mondo dello sport. Uno dei pilastri del paese è la formazione: la Qatar Foundation, la cui presidentessa è la mamma dell’Emiro, spinge molto in questa direzione. Tutte le maggiori università del mondo, dalla New York University alla Georgetown, hanno una sede a Doha con i loro docenti perché il Qatar ha l’ambizione di diventare un polo di studio per il futuro».

Ci sorprenda.

«Abbiamo anche una applicazione, ovvero Qatar SportsTech, che raccoglie e seleziona le migliori app legate allo sport. Il Qatar ne seleziona dieci, le finanzia ed entra in società con i creatori, che poi ogni anno vengono qui e sviluppano i propri prodotti anche grazie ai nostri tecnici calcistici e non soltanto. Poi, trascorsi tre mesi, il Qatar può scegliere di acquistare delle quote delle società, aiutarle nella crescita e supportarle nel miglioramento in generale».

Verso l’infinito e oltre.

«Il progetto Qatar 2030 va oltre il Mondiale. Continuerà lo sviluppo generale. E il Qatar diventerà anche un paese anche turistico: salute, sport ed educazione saranno i pilastri. Il Mondiale ha solo dato una spinta e accelerato i progetti».

Ma l’Italia le manca?

«Torno spessissimo in Italia. Sono il responsabile dell’area Performance e ricerca della Figc. E, grazie a un accordo tra la Federcalcio e la Qfa, lavoriamo tutti insieme e condividiamo conoscenze a vari livelli. Ho seguito in Italia gli Europei della scorsa estate e, quando gioca la nostra Nazionale, l’Aspire mi lascia per supportare i tecnici azzurri. La mia base è qui a Doha. Mi hanno permesso di dar vita alle fantasie come in nessun altro luogo nella mia carriera. Costruire da zero è più facile. A volte, però, un po’ di nostalgia sale».

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