Napoli, se la crisi non è di azioni ma di relazioni

Napoli, se la crisi non è di azioni ma di relazioni
di Gianfranco Teotino
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Lunedì 9 Dicembre 2019, 11:46 - Ultimo aggiornamento: 12:49
Incapace di vincere da sette partite di campionato più, scivolato a 17 punti dalla vetta della classifica e a otto punti dal quarto posto, obiettivo così minimo che nessuno a inizio stagione pensava di sventolarlo come tale, il Napoli si dovrebbe accorgere che la sua crisi è così particolare da rendere quasi impossibile risolverla sul campo. Non è una crisi di azioni (di gioco), ma è una crisi di relazioni. Sostiene Ancelotti che basterebbe passare il turno di Champions per far scoccare quella scintilla che rimetterebbe tutto a posto. Una teoria al contempo pessimista e ottimista. Pessimista perché gli ottavi di Champions sono in realtà già stati conquistati: impensabile che la squadra non riesca neppure a pareggiare contro il Genk. Ottimista perché la partita di domani, facile com'è, non sarà sufficiente a risolvere problemi tanto complessi e tanto aggrovigliati su se stessi. A prescindere dal fatto che, come malignano in tanti, i giocatori, stimolati dalla vetrina europea, sembrano più propensi a garantire il massimo dell'impegno nelle partite infrasettimanali.
IL GIOCO
Il guaio è che il Napoli attuale non si può dire che giochi male, è che troppo spesso non gioca proprio. Difficile dire a questo punto se sia più insanabile la frattura fra società e giocatori, quella fra giocatori e Ancelotti o quella fra società e Ancelotti. Gli spifferi che escono da casa De Laurentiis su un allenatore ormai a fine corsa - si tratterebbe solo di stabilire il quando fra subito, la sosta natalizia o fine stagione - certo non aiutano.
I RISCHI
Ma il rischio che la nave affondi in un naufragio che coinvolgerebbe tutti i crocieristi, incolpevoli tifosi compresi, può essere sventato soltanto se i protagonisti delle liti recenti si rendono disponibili a fare un passo indietro. Tutti perché tutti hanno sbagliato: prima De Laurentiis a cercare di imporre, con modalità improprie, un ritiro poco motivato, poi i giocatori, molto di più, ammutinandosi di fronte a una disposizione comunque legittima della società, ma anche l'allenatore, rimasto a metà del guado, criticando la scelta del ritiro, ma accettandola personalmente lasciando così soli i giocatori. Ancelotti avrebbe potuto o schierarsi del tutto a fianco dei suoi calciatori o, al contrario, battersi per convincerli a non disubbidire in modo tanto plateale. Per evitare di buttare una stagione al macero, forse basterebbe che i giocatori ora chiedessero scusa pubblicamente, che De Laurentiis riducesse in modo significativo l'entità delle multe e che Ancelotti ricominciasse a fare quello che sa fare benissimo: preparare la squadra. Se accadesse questo miracolo, si può essere ragionevolmente sicuri che il gioco, come a inizio stagione, ricomincerà a scorrere piacevole ed efficace. Altrimenti non basterà neppure cambiare allenatore.
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