Libertadores, il cammino di Santiago

Libertadores, il cammino di Santiago
di Marco Ciriello
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Sabato 1 Dicembre 2018, 09:30
Il passaggio della finale di Copa Libertadores oltreoceano, a diecimila chilometri di distanza, dall’Argentina alla Spagna dei conquistatori, nella Madrid monarchica, al Santiago Bernabéu, è un cedimento che racconta l’impossibilità di fronteggiare una emergenza, che la Conmebol, il River Plate e il Boca Juniors hanno trasformato in marketing. Con un colpo di mano e reni che nemmeno Hugo Orlando Gatti – leggendario portiere argentino che giocò sia col River che col Boca – si sono dimenticati dei liberatori Simón Bolívar, José de San Martín, José Bonifacio, José Artigas y Bernardo O’Higgins, ai quali la Copa è dedicata, per uscire dall’angolo dove erano stati messi dopo l’assalto al bus xeneize. Uno smottamento storico ed emotivo in funzione di una impotenza, non si poteva più giocare in una città, Buenos Aires, dove le forze di polizia si erano lasciate sfuggire di mano la sicurezza, compromettendo la finale di ritorno allo stadio Monumental. Il ricorso al calcio della vecchia Europa, a uno dei suoi stadi maggiori, è un affidamento coattivo verso un sistema che funziona, ed è di fatto anche una apertura pubblicitaria per il massimo torneo sudamericano. Una trovata enorme per nascondere un vuoto altrettanto enorme, che taglia fuori la parte più popolare delle due tifoserie che non potranno andare a Madrid, per ragioni economiche. È anche vero che qualunque altra parte europea (c’era anche la soluzione Genova) avrebbe presentato lo stesso problema, e che giocando in Argentina comunque i tifosi del Boca non avrebbero avuto accesso. 
Ad ogni modo i voli in partenza dall’Argentina sono andati tutti esauriti in tre ore e stanno per riempirsi anche tutti gli aerei in partenza da Lima, San Paolo e Montevideo.

GESTIONE RIDICOLA
Un gigantesco pasticcio, dovuto a una gestione ridicola di un evento unico, caricato di epica, un grande incendio emotivo che si è spento per imperizia, riaccendendosi con una geografia e un pubblico differente (anche se in Spagna risiedono 250mila argentini). Problema che si è posto anche Diego Armando Maradona domandando cosa accadrà quando si dovrà giocare in campionato la partita e il River tornerà alla Bombonera. Ponendo anche la questione economica al presidente della repubblica Mauricio Macri, suo bersaglio fisso e includendolo in un giudizio molto negativo con Alejandro Domínguez (presidente Conmebol) e Claudio Tapia (AFA): «Sono il flagello del calcio, incapaci nel loro lavoro». La Conmebol non ha ancora punito il River ma l’ha sicuramente penalizzato togliendo il fattore campo, e portando l’assegnazione della Copa Libertadores, il prossimo 9 dicembre, fuori dal territorio sudamericano dopo 58 anni. Un grosso prezzo che pagano gli argentini e il calcio argentino, per una mancanza di responsabilità e organizzazione di chi lo dirige. 
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