Higuain rovescia il Napoli: lo scudetto non è più un'utopia

Higuain rovescia il Napoli: lo scudetto non è più un'utopia
di Marco Ciriello
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Lunedì 3 Novembre 2014, 09:55 - Ultimo aggiornamento: 10:37
È tutto nel giro in area di Higuain il cambio del Napoli, nella sua mezzarovesciata. Tre minuti, sincopati, che sembrano l’inizio di “Natural Born Killers”, c’è tutto, il resto è svolgimento, con lo stesso ritmo. Come l’attaccante argentino ruota su se stesso per agganciare il pallone e metterlo in porta alle spalle di De Sanctis, così la squadra di Benitez cambia completamente: stupendo tutto, a cominciare dal San Paolo. Possesso del pallone come se fosse una proprietà di famiglia, pressing in salsa sacchiana con aggiunta di velocità, e una serie di prestazioni eccezionali, a cominciare da quella di testa di Rafael Benitez. In scia: Higuain che fa Carlo Parola e si prenota per la copertina del prossimo album Panini, Callejon che lascia la modalità Calloni – “lo sciagurato Egidio” di Brera – vista a Bergamo e torna se stesso: segnando, Insigne tra dribbling e lanci, invenzioni e cross da biliardo, sembra quello zemaniano: e gli stessi che lo fischiarono sono costretti ad applaudirlo, Hamsik che ha finalmente lasciato le birrerie di Hrabal ed è tornato al gol e alla centralità del gioco, David Lopez che cameo dietro cameo finirà per guadagnarsi un film tutto suo, Jorginho finalmente filo di ferro: tenace e non più smarrito, da solo tiene la linea, non la stessa di Pif in pubblicità ma qualcosa di meno figo e più efficace, Mertens: Mertens proprio, infine Koulibaly che a tratti sembrava Thuram anche se pare strano a dirlo e di più a scriverlo.



MONTAGNE RUSSE

Una banda capace finalmente di farsi orchestra. Dopo le montagne russe tra campionato, Champions ed Europa League, curve veloci prese male, tensione minima e movimenti e reazioni da animale selvatico, il Napoli è tornato a farsi squadra, con una razionalità olandese, non la Clockwork Orange di Cruyff ma proprio l’urbanistica delle città olandesi, intesa come occupazione degli spazi. Resta il solito difetto che poi è quello della provincia, non saper lasciare l’odore dei campetti passando negli stadi, farsi grande con le grandi, e poi soccombere per indolenza con le piccole. Adesso a Napoli è partito un sottile regolamento di conti su chi aveva creduto e chi no a Benitez e alla sua voglia di insegnare calcio prima ancora di ottenere risultati. In realtà, come lo stesso Benitez sa, c’è ancora da lavorare proprio nell’imparare ad affrontare tutte le partite allo stesso modo, poi, non essendo un Montecristo con la lista delle vendette da consumare, continuerà a tenere l’atteggiamento distaccato che ha da quando è a Napoli. Si è fatto ambasciatore ma non servo, e questo a molti non è piaciuto. In una città che si sente ancora capitale e dove il calcio rimane - purtroppo - l’unico progetto credibile, si scatenano dispute sui moduli e non sui crolli. E in questi momenti di euforia non si può notare l’atteggiamento sobrio di Aurelio De Laurentiis sempre così vicino ai personaggi di Christian De Sica e dei film che produce, e che, invece, ora ha la compostezza dell’altro De Sica, Vittorio. C’è una inversione di temperatura prima ancora di un cambio di carattere, quelli che pensavano che nella diarchia che governa i sentimenti calcistici napoletani il presidente avesse influenzato l’allenatore, sbagliava. Ogni vittoria è una marea, si alzano cori e immaginazione, si alimentano sogni e rivendicazioni, il Napoli è una squadra che anela lo scudetto e pur lo teme, con tutte le conseguenze del caso. Il lavoro da fare è trasformare i nebbiosi e anonimi fantasmi che tornano ciclicamente, nell’esaltazione vista contro la Roma.

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