Il regista Damiano Michieletto: «Una Medea raccontata dai figli e Mozart tra i banchi: «La magia dell'infanzia accende la mia lirica»

Il regista Damiano Michieletto presenta gli spettacoli al Costanzi (dal 13 gennaio) e alla Scala (dal 14): «Nella “Médée” che debutta a Milano la tragedia viene raccontata con gli occhi dei bambini E “Il Flauto magico”, ripreso dall’Opera di Roma, è ambientato in una scuola»

Marina Rebeka è Medea al Teatro alla Scala dal 14 al 28 gennaio
di Simona Antonucci
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Lunedì 8 Gennaio 2024, 19:05 - Ultimo aggiornamento: 19:49

«Cosa pensano della madre? Una donna sfruttata e poi buttata via? Delle nuove nozze? Di una famiglia che non c’è più? Nella tragedia di Medea tutto ruota intorno ai suoi figli. Sono il legame con un passato da cancellare e il trofeo per il matrimonio che verrà. Mi è sembrato naturale dare voce ai loro pensieri e significato alla loro presenza. Euripide li mette in scena, ma in silenzio. Nel mio spettacolo ho cercato di restituire la parola a chi non l’ha mai avuta, i bambini».

 

Il regista Damiano Michieletto intreccia la sua creatività con il capolavoro di Cherubini, la Médée che viene presentata per la prima volta alla Scala nella versione francese, dal 14 al 28 gennaio: a Marina Rebeka il ruolo della protagonista, Stanislas de Barbeyrac sarà Jason, Nahuel di Pierro Créon e Martina Russomanno Dircé.

Sul podio Michele Gamba.

Ed è sempre il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, colto nel passaggio cruciale tra l’inconsapevolezza e la maturità, a dare originalità alla sua lettura del Flauto Magico che debutta quasi contemporaneamente all’evento milanese (sarà in scena dal 13 al 21 gennaio) all’Opera di Roma, con Michele Spotti sul podio, Francisco Gatell (Tamino), Markus Werba (Papageno), Emoke Baràth (Pamina), Aleksandra Olczyk (Regina della Notte) e John Relyea (Sarastro). «Torno spesso a indagare quella fase della vita, perché succede tutto allora, è il periodo più fertile per la costruzione di una personalità», spiega il regista veneziano, 48 anni, eccellenza nel mondo del teatro musicale italiano.

Per restituire la parola ai figli di Medea è ricorso a un’operazione quasi spericolata, sostituendo i dialoghi originali, con quelli inediti dei bambini. Una pazzia?

«No. E paradossalmente, rispetto ai cambiamenti che ha subìto in passato quest’opera, la nostra edizione è la più vicina all’originale: in francese, con i dialoghi. Semplicemente non sono gli stessi: saranno degli incisi che permettono ai bambini di sussurrare la loro storia».

Nel passato c’era più disinvoltura nel mettere la mani su un’opera?

«La forma di Médée è quella dell’opéra-comique, con brani musicali inframmezzati da episodi parlati. Ma poi è successo di tutto. Dialoghi tagliati, sostituiti da recitativi, tradotti in italiano, accompagnati da musica. Nel passato erano molto più pragmatici. E questo atteggiamento deve farci riflettere sul nostro rigore nel preservare».

È un’attitudine recente?

«Sì. Non c’è bisogno di andare indietro nei secoli. In questi giorni sto studiando West Side Story che debutterà a Caracalla nel 2025 e si fa fatica a capire qual sia la versione originale. Sono intervenuti chissà quanti registi, sono state modificate le arie. Un tempo si cambiava a basta. In Medea, poi, direi che è stato quasi necessario. Pagine e pagine di versi che non finiscono mai. Oggi, improponibili».

Quindi la parola ai bambini. Come?

«Ho inserito degli incisi registrati da bambini francesi che sussurrano le loro parole, in maniera un po’ segreta, dando anche informazioni necessarie alla storia. I testi sono del drammaturgo Mattia Palma e abbiamo anche consultato uno psichiatra. I bambini sentono, percepiscono, vedono, danno il loro punto di vista. Sono protagonisti involontari di questo dramma familiare. Li vediamo con i regali del nonno Creonte, nella loro ultima notte con la mamma. E nella loro morte che sarà dolce, senza coltelli. Un sonno eterno. Chiusi in una camera dove Giasone non potrà entrare mai più».

E lei come vede Medea?

«Medea assiste alla sua maternità distrutta e a una costellazione familiare che si infrange. Ma la tragedia di Medea non è la fine della famiglia ma la consapevolezza che Giasone abbia abusato di lei. Medea per il suo uomo ha ucciso il fratello, si è inimicata tutti. La conquista del Vello d’oro, di cui si vanta Giasone è merito suo, e nulla le viene riconosciuto. Quello di Medea è il dramma di una donna abusata, sfruttata e poi ripudiata. In una stanza elegante contemporanea che rispecchia il gusto misurato della società greca, Medea contamina la razionalità estetica con segni che preludono alla distruzione finale. L’uccisione dei figli è la distruzione della loro unione e di tutto ciò che li lega».

Come racconta, invece, i “figli” del Flauto magico?

«Nel mio spettacolo Tamino e Pamina compiono un viaggio iniziatico verso la conoscenza e per simboleggiare questo percorso l’opera viene ambientata in una scuola. Tra i banchi, affrontano l’educazione dogmatica, rappresentata dalla Regina della notte, e l’istruzione laica, impartita da Sarastro».

Quale percorso intraprendendono?

«Un cammino di iniziazione, che passa attraverso la fine del tempo del gioco e la ribellione ai dogmi genitoriali. Dai banchi ai boschi, un viaggio con Papageno, l’ignorante, che però conosce il linguaggio degli animali, della natura. In un’atmosfera vivace senza tradire il sottotesto legato al Flauto magico. Un po’ come in Medea ho tolto i riferimenti massonici e li ho sostituiti con le tappe legate alla scoperta degli affetti, della sessualità, della maturità come indipendenza dai padri. Ho portato Mozart in classe».

Prossimi progetti?

«Il premio e i consensi ricevuti per Animal Farm, opera contemporanea con musiche di Raskatov, che torna in scena a Vienna dal 28 febbraio, mi ha dato speranze e consolidato la certezza che l’opera non debba essere necessariamente legata al passato. Con Raskatov stiamo lavorando a un nuovo progetto che vorrei portare in Italia».

A fine marzo debutta la sua Carmen a Londra ed ed è già al lavoro con West Side Story, a Caracalla nell'estate 2025. Ha già in mente qualcosa?

«West Side Story è un titolo che adoro. Al momento sto studiando, ma finora non ho visto belle produzioni. Sembra semplice, e non lo è. Ci sono tre ingredienti che devono trovare un equilibrio, un mix di musica strepitosa, in più i dialoghi e la messa in scena. Ho visto il film su Bernstein, Maestro. Bello, ma non mi ha dato alcuno stimolo».

C’è grande attesa per il ritorno della lirica a Spoleto con il suo Orfeo ed Euridice. Può anticipare qualcosa?

«La storia mitologica di Orfeo che salva Euridice non riguarda la realtà di un uomo che salva una donna dagli Inferi. Il senso del viaggio di cui parlano numerosi miti è, a mio avviso, il tentativo di mostrare, con mezzi artistici, un’esperienza di vita veramente significativa. Si tratta della possibilità di cambiare, di incontrarsi di nuovo, di amare di nuovo e forse anche in modo diverso». 

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