È sempre alla ricerca di un contatto fisico, Nick Cave, come se ne avesse un naturale bisogno. Intimo ma scostante, perché poi quel contatto lo scansa, e anche se il pubblico viene invitato sul palco a partecipare al sabba finale di Stagger Lee, sembra sempre che la maschera non si sciolga.
È il dolore il moto portante della musica del cantante australiano: prima quello cercato, affascinante, romanzato delle Murder Ballads, poi quello vero, straziante perché personale e terribile. È il 14 luglio 2015 lo spartiacque: quel giorno muore il figlio Arthur, dopo la caduta da una scogliera vicino a Brighton. Cave non si è fermato, ma di quel lutto ha fatto un disco bellissimo e allo stesso tempo devastante: Skeleton Tree.
Delle due ore di concerto al Palalottomatica di Roma, quell'album è lo scheletro, appunto: 7 delle 18 canzoni suonate, sussurrate, urlate, vengono da lì. Lo sono le prime due: Anthrocene e Jesus Alone, in cui il padre si rivolge direttamente al figlio morto: «con la mia voce ti sto chiamando». La tensione si scioglie con le martellanti Higgs Boson Blues e Tupelo e si alternano brani di Push the Sky Away a grandi classici della sua carriera pluritrentennale: From Her to Eternity, Red Right Hand e la struggente ballata Into my arms. Ma si tratta solo di un climax, per arrivare al finale a sorpresa: nel bis Nick Cave scende in mezzo al pubblico e da una pedana recita come un mantra il ritornello di Weeping Song, che ha 27 anni ma potrebbe essere stata scritta ieri: «Questa è una canzone del pianto, una canzone nella quale piangere». Non è ancora finita. La redenzione si cerca, ma non si trova: «ecco, arriva il diavolo, con il forcone tra le mani», recita lo sciamano in una versione allungata e modificata di Stagger Lee, portandosi sul palco i fan delle prime file. Il contatto arriva, c'è anche l'abbraccio con un ragazzo, ma è tutto parte dello show: il dolore non se ne va, resta il cinismo, la disillusione, e i rifiuti alle richieste di selfie dei paganti con onnipresente smartphone.
Come a dire, siete burattini e nemmeno il vostro abbraccio, il vostro affetto può farmi stare meglio. «Se sentite di aver ottenuto tutto ciò per cui siete venuti o se avete ottenuto tutto e non volete più nulla: dovete solo continuare a spingere via il cielo». Fine. Applausi. «You have no idea», non avete idea, è l'ultimo saluto prima di tornare in camerino: il dolore, un dolore così forte, non può essere condiviso. Può diventare uno spettacolo, ma poi si torna soli. Nonostante tutto.
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