Applausi al Costanzi per il maestro ​ Pérez, argentino dal sangue russo: «Con Šostakovič fuochi d’artificio orchestrali»

Il maestro argentino Alejo Pérez, 47 anni
di Simona Antonucci
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Domenica 30 Maggio 2021, 21:45

«Potenza narrativa, varietà di colori, profondità. Ogni volta che dirigo un compositore russo, mi vengono i brividi: fuochi d’artificio orchestrali». Alejo Pérez, 47 anni, di Buenos Aires, è tornato  sabato al Teatro dell’Opera per dirigere l’ultimo appuntamento con la musica dal vivo prima del “trasloco” al Circo Massimo. 

Dopo i successi con Il naso di Šostakovič, la Lulu di Berg e, più recentemente, L’angelo di fuoco di Prokof’ev, ha ritrovato l’Orchestra del Costanzi per dirigere l’Ouverture dal Rienzi di Wagner e la Sinfonia n. 5 in re minore, op. 47 di Šostakovič. E il pubblico lo ha salutato con lunghissimi appalusi al termine di un'emozionante esecuzione, in totale sintonia con la formazione del Costanzi.

Lady Macbeth del Distretto di Mcensk

Un argentino, dal sangue russo. «Un’attrazione chimica. La quinta di Šostakovič è meravigliosa. La scrisse poco dopo Lady Macbeth del Distretto di Mcensk, opera che cadde in disgrazia presso il regime stalinista e considerata ancora un esempio di censura politica sull’arte. Con la Quinta, un capolavoro, riuscì a far ripartire la sua carriera. Una sola linea melodica e niente di più. Senza bisogno di “abbellimenti” ti colpisce, ti emoziona.

Una passione, la mia, che nasce da dentro. Mi succede lo stesso con la letteratura. Mi viene naturale perdermi nei loro romanzi».

Ai Weiwei

In programma anche Wagner: «Nell’Ouverture si sentono le radici del compositore e dei temi che svilupperà nell’opera, intimi e profondi». Nei lunghi mesi di lockdown (nel marzo del 2020 era a Roma per le prove di Turandot, con la regia di Ai Weiwei, quando calarono i sipari), Pérez, direttore musicale dell’Opera delle Fiandre, si è preso «un anno sabbatico. Mi sono rimesso al pianoforte. E ho studiato. Rachmaninov, molto repertorio russo, naturalmente, ma anche opere che non mi capita di dirigere».

Berio

La colonna sonora di quei giorni? «La musica dei miei tre nipotini cui ho insegnato a suonare il pianoforte». Amore russo, ma un repertorio vastissimo e in giro nel mondo. «Non credo nelle eccessive specializzazioni. Ogni brano e ogni periodo si alimentano l’uno con l’altro. La polifonia ti aiuta a capire Berio, Schubert ti apre gli occhi sulla scuola viennese. E il Novecento è un serbatoio culturale in cui confluisce tutto». Dopo Roma, Anversa, Tokyo: «sogno la normalità, la musica è socialità».

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