Giordano Bruno Guerri: «D'Annunzio oggi? Una star dei social»

Giordano Bruno Guerri: «D'Annunzio oggi? Una star dei social»
di Alessandra Spinelli
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Lunedì 29 Maggio 2017, 20:09 - Ultimo aggiornamento: 1 Giugno, 16:03
Un immenso desiderio di festa pervade le sue parole mentre annuncia nuova luce, concerti serali, mostre inedite e rivoluzione tecnologica. Sorride spesso Giordano Bruno Guerri, scrittore, storico, giornalista, travisa la sua fama di burbero combattente della parola, e mostra il suo attaccamento per la Fondazione Il Vittoriale degli Italiani di cui è presidente e direttore dal 2008. «Un luogo che frequento da tutta la vita, qui ho preparato la mia tesi di laurea, mai pensando che in futuro sarei diventato la vedova di D'Annunzio. Questo regno di D'annunzio quando sono arrivato era trascurato, triste, con un'organizzazione arcaica. L'abbiamo rimesso a posto, c'è anche la biglietteria on-line, e il primo giugno ci sarà un grande evento».

«Un immenso desiderio di festa» è infatti il titolo della giornata di giovedì, ingresso gratuito fino a tarda notte, con l'accensione della nuova illuminazione esterna («Un colpo d'occhio magnifico grazie all'accordo con Regione Lombardia e A2A, cambia il panorama del lago»), il via ai concerti Notturnale Tener-a-mente, Le nostre Magnifiche presenze mostra su D'Annunzio e Pascoli e la nuova App in collaborazione con la Fondazione Ugo Bordoni per una visita del parco interattiva.

D'Annunzio approverebbe?
«Non ho dubbi. Il mio obiettivo è ridefinire l'immagine di D'Annunzio che soffre di questa maledizione della memoria per cui è protofascista, decadente, lussurioso. Un D'Annunzio deteriore. Lui, oltre a essere un grande poeta, è stato un grande innovatore e modernizzatore della società, della cultura e della politica. È vitale, un nostro contemporaneo».

Come ha fatto a modernizzare un luogo così carico di storia e soprattutto a togliergli la patina di antipatia politica?
«Qualche resistenza c'è ancora, ma incredibilmente è maggiore tra quelli che mi accusano di aver defascistizzato la casa di D'Annunzio, dove non c'era niente di fascista e non era un caso. Ho perfino fatto una battaglia con un bancarellaro fuori dall'ingresso che vendeva solo magliette del Duce, gli ho fatto aggiungere quelle di Che Guevara, ora grazie a una legge dei Beni culturali conto di poterlo allontanare. Fondamentale è stato privatizzare Il Vittoriale nel 2010. Tutti i governi dagli anni Novanta chiedevano di rinunciare ai contributi pubblici. Io l'ho fatto nell'incredulità generale con un nuovo statuto, un cda più snello, rinunciando ai sussidi ma organizzando il tutto come un'azienda. Perché i musei sono aziende, con dipendenti, tasse e bollette».

È la linea dei direttori manager promossa dal ministro Franceschini che ha aperto le porte a personalità straniere, in parte stoppata dal Tar del Lazio proprio in questi giorni.
«La decisione di Franceschini di aprire ai musei ai direttori manager, italiani o stranieri che fossero, è vincente. Che le nostre pastoie burocratiche fermino tutto è desolante».

Al di là delle migliorie e degli eventi culturali, come si vende il prodotto museo? È stato accusato di aver tagliato i cipressi e di averne fatto dei taglieri.
«Abbiamo creato nuovi allestimenti come il Museo D'Annunzio Segreto e il Museo D'Annunzio Eroe, riaperto il canile, l'Arengo, il laghetto del Mas e il Giardino delle Vittorie. Taglieri? Non scherziamo. Nel 2014 abbiamo avuto una tempesta che ha abbattuto dieci cipressi, dico i cipressi su cui si appoggiava D'Annunzio, che dovevo fare? Buttarli? Li ho fatti fare a fette, li ho marchiati Vittoriale, numerati e firmati e venduti a 49 euro l'uno. Un ricordo, l'unico che si può portare via dal Vittoriale. Abbiamo incassato 50mila euro».

E ha fatto accordi con il parco dei divertimenti Gardaland, non è piaciuto ai vati della cultura.
«Ho creato Gardamusei. Il Vittoriale è il capofila con Verona, Cremona e Gardaland. La pietra dello scandalo? Ma a me fa solo ridere. Gardaland ha 3 milioni e mezzo di visitatori l'anno di cui due terzi sono adulti. Il nostro ministero si chiama dei Beni culturali e del Turismo, le due cose sono strettamente legate. Allora io facendo una mostra permanente del Vittoriale a Gardaland raggiungo quei visitatori che sono a 60 chilometri da noi, gli offro la possibilità di conoscere D'Annunzio. E viceversa. Ora Gardaland farà un kinderheim al Vittoriale. Avviciniamo così le famiglie anche i ragazzi. E oltre che da D'Annunzio li portiamo da Pascoli. Il Vittoriale è associato anche con casa Pascoli, non proprio vicino ma idealmente sì: far conoscere le due dimore di questi due grandi poeti permette di farli capire e apprezzare».

A scuola D'Annunzio e Pascoli non sono proprio così amati.
«Perché sono subiti. La pioggia sul pineto cade sulla cavallina storna ed è una tragedia. E invece si deve far capire che D'Annunzio è esplosivo, il superuomo, oggi avrebbe 30 milioni di follower sui social, una star. Pascoli è invece l'uomo, il suo cagnolino, la sua sorella il suo fiasco di vino, l'uomo quotidiano smisuratamente grande».
Da D'Annunzio a Pascoli, sembra la sua evoluzione personale, si è sposato, ha avuto due figli, ha lasciato Roma
«Da figlio e padre di me stesso, sono diventato padre di due bambini, ho preso la mia testa e me la sono piantata sulle spalle. Da molto grande ho cominciato a misurare gli effetti di quello che faccio e credo che sia l'espressione massima della maturità. Parola che non mi piace, mi sento ancora acerbo ma ufficialmente sono maturo».

A proposito di giovani, ha creato e appena consegnato il premio Genio Vagante in collaborazione con l'Istituto italiano di cultura a Montreal.
«L'anno scorso il direttore dell'Istituto italiano di cultura Francesco D'Arelli mi fece incontrare una trentina di giovani italiani, tutti laureati con master, i cosiddetti cervelli in fuga, ma i cervelli non fuggono, corrono, è bene incoraggiarli, seguirli. Sono dei geni, come il premiato di quest'anno Andrea Paolella, che ha trovato il modo di prolungare la vita alle batterie. Veri geni vaganti, che fanno dell'Italia all'estero quello che facevano nel Rinascimento i nostri artisti, contesi da tutte le corti europee».
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