Morto Massimo Di Forti storica firma delle pagine culturali del Messaggero. Lunedì i funerali

Massimo Di Forti con una delle sue adorate top model
di Germana Consalvi
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Martedì 12 Luglio 2016, 16:34 - Ultimo aggiornamento: 18 Luglio, 14:21

Swinging Massimo per sempre. In una afosa notte di luglio se n'è andato all'improvviso Massimo Di Forti, immenso talento del giornalismo e della cultura, firma storica delle pagine culturali del Messaggero, intellettuale vivace e uomo brillante e garbato, con una passione totale per il Bello culminata in intensi incontri-interviste con un Olimpo di personalità geniali e straordinarie. E' morto nel sonno, nella sua abitazione, a Roma. Appassionato di scienze umane e di comunicazioni di massa, Massimo Di Forti era un giornalista culturale di razza, con una spiccata e determinata "vocazione" a raccontare i grandi personaggi del nostro tempo. Aveva 73 anni, compiuti proprio una settimana fa, e con sobrietà e senza alcuna vanteria, questo signore della penna era lo scrigno dei Miti, svelati in Terza pagina con grande entusiasmo. Ma ha scritto anche i saggi "Fourier", "L'architettura della felicità socializzata", "La società post-erotica", "Un futuro senza nemici". 

GLI INCONTRI CON I MITI
Con lui hanno parlato, e volentieri, Totò, certamente il suo preferito, perché, come commenta Ivo Carezzano, altra storica firma del Messaggero che fu anche suo capo alla Cultura, "erano uguali, principi e maestri indimenticabili", ma anche, tanto per citarne alcuni e in ordine sparso e parziale, Madre Teresa di Calcutta, Sartre, Frank Lloyd Wright, Christo, Frank Gehry, Stephen Hawking, Rita Levi Montalcini (in occasione dei suoi cento anni, la grande scienziata gli disse che "era il momento di fare delle scoperte"), Eric Hobsbawm, Jeremy Rifkin, Jane Goodall, Charles Trenet, Irving Berlin e preziose icone di bellezza glam, da Lauren Bacall a Claudia Schiffer a Nadja Auermann, la top tedesca con le gambe più lunghe del mondo. Perché in particolare la moda e la fotografia gli appartenevano: rappresentavano due sublimi possibilità di raccontare il Bello in tutte le sue fibre arlecchine.

IL PERSONAGGIO
Però ora che lui non è più qui, bisogna dirlo: Massimo Di Forti era un vero personaggio. E val la pena provare a descriverlo. Massimo non era bello: piccolo di statura, naso pronunciato, una calvizie-tabù tenacemente mimetizzata con un riporto accuratissimo. Non pativa, mai, né il caldo né il freddo. Giacca e cravatta, sempre, per lui. Mai visto in jeans o con una polo, figuriamoci con una t-shirt. Mai visto Di Forti indossare un cappotto mentre, in caso di pioggia l'impermeabile c'era. Perfino quando a Roma ci furono le nevicate, fatto epocale nella nostra città, Massimo Di Forti arrivò in redazione in giacca e cravatta. Con la nevicata aveva però aggiunto un paio di guanti. Invece l'estate, addosso a Massimo, aveva il colore bianco abbagliante delle sue scarpe e dei suoi pantaloni, scelta cui è stato fedele per quarant'anni, fino all'ultimo.

L'ARRIVO A ROMA
Nella Capitale arrivò dalla Sicilia a fine anni Sessanta con una testa piena di idee e una Fiat 850 di cui si liberò in fretta perché non era fatto per guidare ma per camminare, per stare a contatto con gli altri. Iniziò subito una serie di collaborazioni importanti, da Il Mondo all'Espresso ma anche con il Nouvel Observateur e con altri giornali. Nel 1979 iniziò a collaborare con il Messaggero, con reciproca, crescente soddisfazione. Il problema era rintracciarlo, se c'era bisogno di lui all'improvviso. Il cellulare non esisteva e Di Forti rifiutava la segreteria telefonica, proprio non gli piaceva. Verso metà-fine anni Ottanta l'allora responsabile della Cultura (poi direttore) Pietro Calabrese adottò un metodo che funzionò, facendo ricorso all'ironia, di cui erano entrambi dotatissimi, e al senso pratico. Se c'era bisogno all'improvviso di Di Forti, Calabrese mandava a casa sua un fattorino con un messaggio o gli inviava un telegramma. Il testo era sempre lo stesso: "Si richiede tua disgustosa ma purtroppo necessaria presenza". Di lì a un'ora Di Forti arrivava al quarto piano di via del Tritone. Poi, dopo poco, venne assunto.

LE BATTUTE
La capacità di sintesi era un dono giornalistico e letterario, per Massimo Di Forti. Insomma, una dote professionale. Ma a livello personale era l'opposto: torrenziale, sempre garbato e interessante, molto divertente, anche polemico e spiazzante, un intellettuale curioso e onnivoro. Ma era un fiume di parole. Inarrestabile. Ma irresistibile, come la sua "esse" pronunciata con la "zeppola". Però in quell'ondata compulsiva di parole, non ce n'è stata mai, ma proprio mai, una cattiva per qualcuno. Una vera rarità. Sapeva tutto anche della vita privata di tanta parte di Hollywood: un giorno, in redazione, a proposito di una diva mondiale che ha collezionato tanti mariti e che tra un matrimonio e l'altro ebbe pure una delusione d'amore da un aitante playboy latino, Di Forti disse: "Se serve un titolo, si potrebbe fare 'hasta la vista, e non vista la asta'". Era buono e divertente, mai banale. Archiviava con maniacale cura le sue pagine, era pieno di carte, e anche per questo girava perennemente con spartane buste di plastica o di stoffa che contenevano i suoi ritagli e appunti. Poi ti sorprendeva improvvisando due passi di tip tap in redazione, modello Fred Astaire de noantri.

OSTAGGIO SULL'AEREO
"Pronto, ciao Germana, sono Massimo. Volevo avvisare che oggi arrivo in ritardo". "Va bene, cosa fai, vai a una mostra? Fai un po' di shopping?". "No, sono atterrato a Fiumicino, ma sono ancora sull'aereo perché siamo tutti sequestrati da un signore italiano. E il passeggero vicino a me, mi ha cortesemente prestato il telefonino per farmi fare questa chiamata. Non so a che ora arrivo, ma arrivo in ritardo...". Era marzo 1994: all'aeroporto di Fiumicino alle ore 14 l'aereo della "Meridiana" Palermo-Roma era fermo sulla pista 25. Da due ore un uomo teneva in ostaggio i 152 passeggeri e i 6 uomini dell'equipaggio. Nessuno di noi al Messaggero, fino al momento della telefonata di Massimo Di Forti, calma e con voce sobria, sapeva che lui fosse lì. Immediatamente fu informato tutto il giornale. Furono mandati due cronisti e un fotografo a Fiumicino. L'allora capo della cronaca di Roma si raccomandò: "Se tutto si risolverà per il meglio, come deve, Massimo deve fare il racconto in esclusiva per noi". Una corsa da Roma a Fiumicino, quando i cronisti arrivarono il caso si era risolto bene. Il sequestratore si era arreso e aveva perfino chiesto scusa. I nostri cronisti furono subito attratti da un capannello di telecamere e flash e sentirono una voce "familiare". Telefonarono al capo cronista: "Accendi la televisione, Massimo sta facendo una conferenza stampa mondiale". 

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L'ULTIMO SALUTO
La camera ardente, in piazzale del Verano 38, sarà aperta lunedi dalle 8. I funerali si svolgeranno alle ore 11 presso la chiesa di San Lorenzo in Lucina

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