Ciao Massimo, quanto ci mancherà il tuo giornalismo culturale

Massimo Di Forti dentro l'Empire State Building
di Renato Minore
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Mercoledì 13 Luglio 2016, 13:45 - Ultimo aggiornamento: 18:10
Massimo, non possiamo pensare che tu non ci sei più.
Sei stato, eri così presente nel nostro lavoro, così pieno di tante cose da scrivere, così attento a grandi temi che ti affascinavano, così ricco e generoso nel parlare di fisica, di architettura, di psicoanalisi, di arte, di modelle, di pubblicità, di fotografia, di tutto ciò che era al centro della tua onnivora voracità culturale. E sempre sapendo e dimostrando che la complessità dei temi doveva essere sciolta nella chiarezza della scrittura, nell’amabilità del tratto, nell’ironia che spesso ti accompagnava e seminavi nei discorsi come negli articoli.

Ogni volta che scrivevi,  non c’era nulla d’improvvisato o di volatile nella scelta, ma c’era la curiosità, la competenza, la capacità di centrare il bersaglio proprio perché non avevi mai smesso di allenarti, di portare ogni giorno un piccolo tesoro di nuove acquisizioni, nuovi interessi, nuovo entusiasmo. Il tuo giornalismo culturale, cui credevi fortemente per formazione, gusto e tanta pratica negli anni alla Rai, all’Espresso e poi da noi al Messaggero, era di tutto ciò la dimostrazione più chiara.

Eri sempre in servizio permanente e ciò ti rendeva quel mercuriale folletto pieno d’idee che amavi sempre rinforzare con un’inesauribile elargizione e che saltava amabilmente, come nelle conversazioni con tutti i più grandi, quelle tue straordinarie interviste che ogni volta ci facevi rivivere con la tua inesauribile vena di affabulatore. Da Foucault a Levi Strauss a Fred Astaire, al dottor Schweitzer,  Mcluhan, Bateson, Cartier Bresson, Bauman fino all’entusiasmante “nonna” Jane Goodall di cui ci hai lasciato lo scintillante ritratto in uno dei non molti libri che hai scritto. Ne avresti potuti scrivere altri dieci, quindici, spinto dai tuoi interessi, dalle occasioni d’incontro che eri abilissimo a creare senza particolari complicità o vie traverse come può avvenire nel nostro mestiere, ma solo fidando sulla tua tenacia e sulla “conoscenza” non superficiale di ciò di cui avresti scritto.

Non lo hai fatto perche avevi troppo rispetto per il tuo lavoro e sapevi che molto spesso si consuma nella velocità, nel mordi e fuggi che ci fa passare immediatamente al capitolo successivo . Ma almeno le tue interviste più belle -te l’ho sempre detto- avresti dovuto raccoglierle perché ora avremmo una straordinaria  rassegna che poteva iniziare con Sartre e finire con Bauman passando per Veruschka e Fred Astaire. E poi, proprio negli ultimi tempi, un libro l’avevi scritto, “Un futuro senza nemici” interrogandoti sulla violenza e sulla guerra,  disseminando molte idee in un saggio denso ed essenziale  che dimostra la tua  passione e la tua competenza, per nulla improvvisata, di lunghissimo corso.

Caro Massimo, non sai quanto mancherai a tutti noi, che insieme abbiamo condiviso la meravigliosa e sempre nuova possibilità di poter scrivere di ciò che più amavamo e che volevamo far conoscere ad altri usando tecniche e lusinghe vocazioni e astuzie  delle nostre scritture giornalistiche di cui sei stato un indiscusso primo attore. E ci mancherà  la tua inconfondibile voce  “senti Oliviero, senti Rita, senti Gloria, senti Simona, senti Renato, senti Giuseppina ” con cui, imponendoti nella conversazione, ricordavi amabilmente le voci degli altri raccolte in tanti anni,  quando Hawking ti aveva parlato dei misteri dell’Universo, Sartre dell’impegno dell’intellettuale, Trenet del fascino irresistibile della canzonetta e Veruschka del mito eterno della bellezza.
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