«La lettera, che era già stata pubblicata un paio di volte in passato - spiega Pellegrini - proviene da una raccolta di testi, presi come esempio del buon scrivere, che il notaio e maestro di ars dictaminis (ossia l’arte di scrivere lettere) Pietro dei Boattieri, attivo a Bologna tra Due e Trecento, aveva incluso in un codice confluito più tardi in un manoscritto oggi conservato alla Biblioteca Nazionale di Firenze. In essa Cangrande della Scala denunciava all’imperatore Enrico VII i dissensi sorti all’interno dei sostenitori dell’Impero, invitandolo a riportare la pace e la concordia prima che altre membra del corpo imperiale si sollevassero le une contro le altre armate». Si trattava dunque di una missiva delicatissima, la cui stesura Cangrande non avrebbe certo affidato a chiunque.
«Da un’attenta analisi del testo della lettera, dei suoi riferimenti e degli stilemi linguistici, appare evidente come la probabilità che l’abbia scritta Dante sia altissima», prosegue Pellegrini. Il recupero della lettera produce, inoltre, una serie di conseguenze rilevanti sul piano biografico, dimostrando che Dante avrebbe soggiornato a Verona per un lungo periodo, dal 1312 al 1320. «Cadono in un colpo solo le ipotesi, formulate forse un pò troppo frettolosamente - sostiene ancora Pellegrini - che tra 1312 e il 1316 volevano Dante a Pisa o in Lunigiana, o addirittura lo immaginavano negli attendamenti imperiali tutto preso dalla stesura della Monarchia. Nell’estate del 1312 Dante si trovava già a Verona e se la Monarchia fu scritta a quest’epoca, fu scritta sotto l’occhio vigile di Cangrande».
© RIPRODUZIONE RISERVATA