L'ex Guardasigilli Marta Cartabia prova a sciogliere uno dei grandi dilemmi danteschi sui quali si sono arrovellati per decenni accademici, giuristi, cattedratici, studiosi: come è possibile che Dante Alighieri, vissuto in epoca medievale, abbia introdotto nelle sue opere il moderno concetto di giustizia riparativa? Del resto tutta la Divina Commedia poggia su una elaborata impalcatura normativa che contempla la riparazione al danno, in contrapposizione alla vendetta, alla legge del taglione, dell'occhio per occhio così diffuso nei tempi antichi. Il nodo che restava da sciogliere, dunque, è se il Sommo avesse davvero avuto una formazione giuridica. «C'è un dibattito lunghissimo sulla dottrina dello Stato contenuta nelle opere del Sommo Poeta». Per un giorno Marta Cartabia ha smesso i panni della giurista e della docente universitaria per tenere una articolata lectio magistralis dal titolo “Molti han giustizia in cuore” a Villa Altieri, organizzato dalla Casa di Dante (di cui lei è presidentessa), alla presenza di Enrico Malato, illustre dantista italiano. «Il tema della giustizia nella Commedia si sviluppa in mille modi e si presenta via via con volti diversi. E' multiforme, così come è multiforme anche il male al quale si contrappone la giustizia».
Cartabia ha individuato subito almeno tre tipi di giustizia all'interno dei sonetti dell'Alighieri, racchiusi nelle vicende umane raccontate a partire dal primo girone infernale in poi, transitando successivamente per il Purgatorio e infine nel Paradiso: subito si incontra la giustizia del contrappasso, la vendetta che spesso viene narrata attraverso una serie di eccezioni alle regole e poi la giustizia riparativa.
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Le regole ferree immaginate da Dante soprattutto nell'Inferno e in alcuni personaggi dannati forse sono crudeli perchè servono sempre per esplorare dei casi limite. «Dante crea effettivamente una elaborata geografia normativa per esplorare tante eccezioni». La cosa che colpisce resta la dinamicità del sistema che prevede sempre la redenzione e l'espiazione previo pentimento, soprattutto nel Purgatorio dove si prevede una punizione ma poi tutto è orientato alla riparazione. Non si parla mai di pene definitive come, invece, accade nell'inferno dove non c'è uno sbocco. Per esempio la vicenda di Bonconte che viene collocato fra le schiere delle anime negligenti che morirono di morte violenta ma che si convertirono e si pentirono in extremis. Il diavolo naturalmente si lamenta per una “lagrimetta” versata alla Madonna grazie alla quale l'esponente ghibellino si sottrasse alla dannazione eterna. «C'è sempre una condanna che ha bisogno di essere rivista» ha aggiunto l'ex Guardasigilli facendo presente che le società hanno bisogno di regole per vivere assieme, ma allo stesso tempo anche di regole ospitali, capaci di affrontare le complessità del quotidiano. «Gli assoluti nella giustizia umana, in qualsiasi sistema, fanno danni inenarrabili» assicura Cartabia.
C'è poi un secondo tratto di novità introdotto da Dante nel Purgatorio che riguarda le pene riparative, al punto da tracciare dei paralleli che si proiettano nella modernità: che la punizione può essere dimezzata grazie alle preghiere dei vivi. «In modo che ognuno è pronto ad aiutare l'altro con la mutua assistenza. E sembra davvero affacciarsi una idea di giustizia riparatoria tipica dei sistemi moderni». Dante riuscì a immaginare tutto questo sette secoli fa. Un po' come dire che quel capolavoro ha parecchio da dire ancora oggi.
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