Murmure: «La nostra arte-spazzatura urla per salvare il mondo»

Murmure: «La nostra arte-spazzatura urla per salvare il mondo»
di Matteo Maffucci
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Domenica 2 Maggio 2021, 09:58 - Ultimo aggiornamento: 3 Maggio, 09:53

L'arte urbana ci insegna che i muri parlano. Anzi, che spesso urlano. Come quelli di Murmure, duo di artisti francesi che con le loro opere vogliono sensibilizzare sul tema ecologico e della salvaguardia ambientale. I loro muri urlano che se non facciamo qualcosa nel 2050 negli oceani ci sarà più plastica che pesci, che la plastica causa la morte di oltre 400 mila mammiferi marini ogni anno, e che le conseguenze saranno irreversibili con danni anche sulla salute dell'uomo. Paul Ressencourt e Simon Roché hanno scelto come oggetto simbolo di questa lotta artistica i sacchi della spazzatura, che nelle loro opere cambiano forma diventando balene, oggetti, uccelli, o avvolgono coppie di amanti ricordandoci che se non prendiamo una posizione gli effetti dell'inquinamento saranno devastanti.

Potete raccontare l'opera d'arte che avete realizzato in esclusiva per Il Messaggero?
«Questo lavoro è tratto dalla nostra ultima serie intitolata Background in cui dipingiamo su fogli di plastica riciclati - risponde Paul Ressencourt - Il pannello è fatto con flaconi sminuzzati e funge da tela per la nostra pittura. Con l'acrilico abbiamo dipinto il peschereccio arenato, l'acqua e molti piccoli dettagli. Il significato dell'opera non è quindi solo nell'oggetto rappresentato, ma ancor di più nel materiale scelto».

Cos'è per voi l'arte urbana?
«È la forma di arte pittorica più accessibile al grande pubblico. A differenza dell'arte contemporanea, non richiede necessariamente un background culturale per comprenderla ed è collocata negli spazi comuni. Noi ci consideriamo artisti di strada e amiamo vedere come le persone possono interpretare il nostro lavoro».
 

Qual è stata la vostra formazione artistica?
«Ci siamo conosciuti alla scuola di Belle Arti nel 2006. Simon aveva già grandi capacità di disegno, io invece volevo imparare ma avevo più capacità di gestione dei progetti, e così abbiamo deciso di iniziare a collaborare. Alla fine abbiamo preso il diploma in Graphic Design alle Belle Arti ma ci riteniamo perlopiù autodidatti. Quattro anni fa con la prima mostra a Parigi abbiamo dovuto lavorare a versioni più piccole delle opere che creavamo per strada. E da allora tutto è cambiato».

Qual è la vostra routine quotidiana?
«Cominciamo alle 8 di mattina con la burocrazia: rispondere alle e-mail, pianificare, aggiornare il sito web, gestire la community. Poi finalmente ci dedichiamo alla produzione: la realizzazione di un'opera d'arte può richiedere dai tre giorni a diverse settimane. Evitiamo di lavorare di notte e raramente lo facciamo durante il fine settimana: vogliamo goderci la vita. Finiamo di lavorare verso le 19, ci piace paragonare il nostro lavoro a quello di un'agenzia, con orari e ritmi piuttosto regolari».

Com'è lavorare in coppia?
«È un'opportunità che ci arricchisce continuamente: spesso uno di noi due spinge in una direzione, una tecnica, disegno, pittura, scultura, murale, installazione e l'altro vuole andare in una direzione opposta.

Essere in grado di esplorare due direzioni diverse è uno dei nostri punti di forza».

Negli ultimi anni, i marchi si sono avvicinati agli artisti di strada per operazioni di marketing: cosa ne pensate?
«Il bello di essere artisti è essere liberi da tutte le restrizioni tranne quelle che ci imponiamo da soli. Quando si lavora con le aziende, spesso i requisiti contrattuali sono molto specifici. Ecco perché non ci interessa molto, o meglio ci piacerebbe collaborare con aziende o progetti con cui condividiamo gli ideali: ad esempio, di recente Netflix ha utilizzato un'immagine molto simile al nostro lavoro per promuovere il documentario Seaspiracy, se ci avessero chiesto di fare qualcosa per loro avremmo detto di sì».

Qual è la città architettonicamente più adatta alle vostre esigenze artistiche?
«Per la varietà architettonica, la presenza di gallerie e l'aria che si respira in generale, Parigi è al numero uno della nostra lista. Ma forse siamo di parte. Siamo sicuri che esistano moltissime grandi città dove troveremmo l'habitat adatto: pensiamo a Berlino, Rotterdam o Vladivostock. In Italia vorremmo lavorare a Napoli. Abbiamo gli occhi puntati anche su Tokyo, dove vorremmo dipingere su un muro un sushi fatto con carne di balena: è un tema che ci sta molto a cuore».

Gli artisti di strada sono un po' anche influencer?
«Diciamo che uno street artist può portare le persone a riflettere su un certo tema o a guardare le cose da un'altra prospettiva, ed è già fantastico così. Ma onestamente non crediamo di avere il potere di cambiare il pensiero di nessuno. A meno di non essere Banksy col suo pubblico mondiale e la sua forza mediatica».

Pensate che l'aspetto sociale della street art sia ancora dominante?
«Noi pensiamo di sì, anche se molti artisti hanno un approccio più grafico e portano il colore nelle strade, rivalutando quartieri o città: anche questo è un fine che apprezziamo molto».

Perché nelle vostre opere utilizzate soprattutto sacchi della spazzatura?
«Abbiamo deciso di lavorarci per la nostra prima mostra a Parigi intitolata
Garb-age, giocando sulla parola garbage che in inglese significa spazzatura. Da lì è diventato l'oggetto simbolo della nostra arte e del mondo in cui viviamo».
 

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