Caldo record, una giornata con il 118 a Roma: chiamate non solo da anziani, ma anche da giovani e da chi assume farmaci

Caldo record, una giornata con il 118 a Roma
di Graziella Melina
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Martedì 18 Luglio 2023, 19:13 - Ultimo aggiornamento: 23 Luglio, 09:02

“Facciamo il lavoro più bello del mondo, non lo cambierei mai”. Cristiana Lupini, medico chirurgo, dottore di ricerca dell’azienda regionale emergenza sanitaria Ares 118 – automedica Roma Sud, dopo un turno di 12 ore, stanca e accaldata dentro la divisa con le maniche lunghe nonostante il caldo torrido, non perde mai l’entusiasmo.

E dire che la mattinata lavorativa è iniziata con una chiamata alle 7.58, il primo codice rosso: una signora di 80 anni ha bisogno di assistenza urgente. “Si è svegliata con una vertigine, ha paura di svenire, ha patologie croniche pregresse, dobbiamo andare”. È uno dei tanti casi, che si ripeteranno anche nel corso della giornata, di persone sole, che chiamano il 118 sopraffatti dalla paura di non farcela. “Abbiamo allertato i vigili del fuoco – dice Lupini - nel caso non riusciamo a farci aprire la porta, la signora ha riferito che vive da sola.

I familiari sono in vacanza”. Per fortuna, non ce ne sarà bisogno, subito dopo la chiamata la donna ha lasciato la porta aperta per timore di non riuscire più a farlo. I soccorsi arrivano in tempo, la donna viene portata al pronto soccorso. Si riprenderà.

Intanto arrivano altre chiamate, non c’è tempo da perdere. Il caldo non dà tregua, ci si accontenta di un sorso d’acqua frettoloso. Stavolta è il caso di un uomo di 60 anni. Aveva assunto i farmaci, ma era disidratato. “Sembrava uno stato comatoso, ma per fortuna era dovuto ad un accumulo di sedativi, me lo hanno confermato i colleghi del pronto soccorso”, spiega Lupini, dopo aver messo in salvo l’ennesimo paziente.

L’automedica si ritrova di nuovo nel caos del traffico della Capitale. Auto in doppia fila, clacson che suonano per sollecitare il passaggio dei soccorsi, le corsie preferenziali occupate senza troppa preoccupazione. “Ci rendiamo conto che le persone si agitano quando hanno un’automedica a sirene spiegate dietro di loro, però spesso non ci permettono di muoverci più velocemente. E per noi il traffico è un elemento di stress notevole”. La direzione dei soccorritori stavolta non è un’abitazione: c’è stato un incidente su una strada ad alta percorrenza. È l’ora di pranzo, l’uomo ferito è ancora steso sull’asfalto ‘bollente’, la temperatura tocca i 40 gradi. “In questi casi i pazienti devono essere protetti dagli sbalzi di temperatura e refrigerati, ma non possiamo rinfrescare eccessivamente la macchina – spiega il medico – dobbiamo fare attenzione ai nostri presidi diagnostici, ai farmaci”. Dopo una corsa all’ospedale, l’uomo viene preso in carico dalla struttura sanitaria allertata dall’arrivo del 118.

Ma i soccorritori sono di nuovo pronti per ripartire. Il tempo per la pausa pranzo non è prevista. Appena arriva una chiamata bisogna accorrere. Si berrà un caffè quando sarà possibile. Ma col passare delle ore sembra ormai una promessa dimenticata. “È il nostro lavoro non possiamo esimerci, però beviamo tantissima acqua”, scherza intanto Lupini. Le chiamate per i codici rossi non si fermano. Stavolta a chiedere aiuto è una signora che soffre di aritmia, ha una grave perdita di coscienza. “Aveva misurato la pressione, ma purtroppo l’apparecchio elettronico non ha dato il valore esatto, e così la paziente ha pensato di assumere un’altra dose di ipertensivo”. Altra corsa in ospedale. Fuori il caldo si fa sempre più opprimente. A guardare le divise dei soccorritori non ci si capacita di come possano resistere. “La divisa serve per proteggersi e per farci riconoscere subito – spiega Lupini senza scomporsi – Ci si abitua per forza”.

Nel corso della giornata, altri codici rossi per pazienti con malattie croniche o con disturbi psichici, persino giovani. Spesso la chiamata al 118, spiegano, si potrebbe evitare. “Il sistema territoriale richiede un impegno organizzativo mastodontico, la direzione fa un lavoro costante di gestione incredibile. Ma bisognerebbe rivolgersi di più al medico di famiglia, cercare di capire le proprie patologie, i farmaci che si assumono. E poi serve una rete sociale adeguata, le amicizie, il supporto di qualcuno. Vivo in un quartiere con molti anziani, sappiamo che moltissimi sono da soli. Serve insomma una rete territoriale che ci preceda, altrimenti il 118 diventa il rifugio di tutta una serie di casi che si potrebbero evitare”. Alle 20 il turno è finito. Per chiunque, sarebbe stata una giornata infernale. Stanca? “Sì, ma soddisfatta – ammette senza mai perdere il sorriso - Dopo una giornata così ora però abbiamo bisogno di pensare ad altro, a vedere gli amici, la famiglia. Per le ferie, aspetto ottobre”. 

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