IL GENE
Come ulteriore misura di sicurezza della terapia, è stato inserito il gene cosiddetto “suicida” che blocca l’azione dei linfociti T modificati in caso di effetti indesiderati. La sperimentazione è stata condotta in due fasi. Nella prima sono state valutate la sicurezza e la tollerabilità del farmaco. Successivamente si è studiata l’efficacia della terapia e i tempi di permanenza nell’organismo delle cellule geneticamente modificate. Sorprendenti i risultati: il 63% dei pazienti ha avuto una risposta al trattamento metà dei quali in remissione completa di malattia. Cresce anche la probabilità di sopravvivenza fino a 3 anni (60% dei casi) e di sopravvivere senza evidenza di malattia (36%). Inoltre si è visto che le cellule CAR T persistono nell’organismo del paziente fino a 2-3 anni dall’infusione sostenendo quindi nel tempo l’efficacia terapeutica.