Roma cambia governo, cambia musica

di Mario Ajello
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Martedì 24 Maggio 2016, 19:42 - Ultimo aggiornamento: 25 Maggio, 12:31

Cambiare Roma sarà una parola, per chiunque vincerà. Però se Roma cambierà in meglio, e speriamo di sì, di sì e di sì, c’è il rischio - minimo per tutti ma assai doloroso per gli amanti della musica - di ritrovarci con una colonna sonora meno bella di quella che ci ha accompagnati in questi anni cupi.

La sofferenza produce belle canzoni? A Roma è accaduto così. Basti pensare al grande tormentone del Piotta insieme al Muro del canto, «I sette vizi capitale»: «Roma cruda / Roma nuda / Roma ti divora / come un barracuda». E quei geni del Genio con il loro: «I bar dei cinesi sono dappertutto / e il cappuccino è sotto choc»? «Piangi, Roma», cantano i Baustelle (che non sono romani). E il rap «RomaBarzotta» di Saide: «Nella capitale / tutto può capitare / anche in un giorno normale».

Poi sarà un paradiso Roma e dolciastra e autocompiaciuta la sua musica? Vabbè, ce ne faremo una ragione, perchè la musica è atnto ma non è tutto. Chi ce lo ridarà «Il bar della rabbia» di Mannarino? E i «300.000.000 di topi» di De Gregori, se i topi non ci saranno più? La Roma nerissima, dark, tremendamente hard di «De Pedis» degli Amor Fou, nessuno mai la vorrebbe rivedere. Eppure, che splendore quella canzone: «Arrivederci Roma scusa se ti ho ricordato che si muore». E tutto il travaglio civico-esistenziale delle canzoni stupende di Flavio Giurato? «La sera dei miracoli» (citazione da Lucio Dalla) potrebbe essere la sera delle elezioni. E se i miracoli si riveleranno buoni per Roma, saremo contenti per la politica e per la città. E continueremo a cantare le vecchie canzoni.
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