La candidata sindaco e le capre del Campidoglio

di Mario Ajello
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Martedì 31 Maggio 2016, 16:32
C'è una candidata al Campidoglio che sta proponendo la ricetta salvifica, secondo lei, che consiste in questo: arruoliamo le caprette, per salvare Roma. Cioè? Le caprette mangiando l'erba rendono inutili i tagliaerba degli addetti comunali (che di solito o non ci sono o non funzionano).

Le caprette fungono da passatempo per i bimbi in giro nella città, e fanno risparmiare ai genitori i soldi per il luna park. Le caprette rendono più gentile il paesaggio e riportano decoro (sia pure animale) nelle nostre vie intasate di auto. Le carpette sono ecologiche e se chiedi loro un passaggio sul dorso magari te lo danno evitandoti la pena di dover prendere la metro che no passa. E via così. Buona proposta? No. Perché di capre, nell'amministrazione  pubblica, le nostre città ne hanno già tante. E poi la capretta romana, chiamata al compito di aiutare la Capitale, si comporterebbe subito come un impiegato del Campidoglio  (quello della categoria, non maggioritaria, dei debosciati). Si fingerebbe malata per non lavorare.

Si iscriverebbe al sindacato più corporativo e lavativo. Scatenerebbe la lagna per farsi aumentare il salario aggiuntivo. Diventerebbe strafottente e aggressiva come troppi burocrati. E basta pensare a "Cuore di cane", capolavoro di Michail Bulgakov, per rendersi conto che quando una bestiolina diventa pubblico amministratore - in quel libro il cane Pallino diventa il signor Pallinov - si equipara al peggio del peggio degli uomini. Quindi la proposta della fantasiosa candidata romana la bocciamo. E ci teniamo, purtroppo, i topi e i piccioni.
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