La Terra, uno schizzo del cosmo

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Giovedì 26 Luglio 2018, 16:42
Quella della marchesa di Chatelet non fu una gravidanza facile, ma il parto riuscì. Èmilie diede alla luce una bambina, subito affidata a una nutrice. Voltaire e Saint-Lambert non nascosero la loro gioia; il marchese esultò. Ma, di lì a poco, la puerpera fu colpita da una setticemia che la portò alla tomba.

Il filosofo ne fu sconvolto al punto che cadde dalle scale. Finiva così in modo tragico una liaison durata più di quindici anni e che impercettibilmente, ma inesorabilmente, si era trasformata da passione in un affascinante sodalizio intellettuale. Un legame quasi platonico, non immune da quel tarlo della gelosia che, dopo una convivenza tanto lunga e, in fondo, felice, non risparmiò né lui né lei. La superiorità di entrambi ne faceva una coppia eccezionale, sebbene i lascivi dardi di Cupido più non ne trafiggessero i sensi ormai sopiti e distratti.

I primi due lustri non vennero turbati né profanati dall'adulterio, che nella Francia del Settecento, come in quella d'oggi e - auguriamoci - in quella di domani, più che un delitto di lesa fedeltà, era una soave evasione, tacita e consensuale.La quale, lungi dal minare la sacralità di un ménage, e dal mettere a repentaglio l'indissolubilità, lo rendeva più pruriginoso e appetitoso. Per un decennio non si erano traditi e non ne avevano avuto la tentazione. Irresistibile in qualunque coppia, contravvenendo a quel solenne codice libertino che nella Ville Lumière era una legge non scritta, e che nessuno osava, o voleva trasgredire.

Quale dama di spirito e di rango si accontentava di un solo uomo, soprattutto se quest'uomo era il partner, il marito, il compagno? E quale uomo, con quelle stesse doti, non disertava il talamo per l'alcova? Il cuore di Èmilie batté comunque a lungo solo per Francois-Marie: «Sono stata felice per dieci anni, innamorata dell'uomo che mi ha soggiogato l'anima. Senza un attimo di stanchezza. Quando l'età, la malattia, forse anche la sazietà del godimento erotico, fecero scemare la sua inclinazione, ciò avvenne molto prima che io me ne accorgessi. Amavo però entrambi, godendo del piacere di amare e dell'illusione di credermi amata. In verità, ho perduto questa condizione felice, non senza che mi costasse tante lacrime». Non si era resa conto che il cuore, e non il cuore soltanto, del filosofo, palpitava per un'altra. E non per un'altra qualunque: per una donna nelle cui vene scorreva il sangue, se pur diluito, lo stesso sangue degli Arouet. Una donna più giovane di diciotto anni, figlia della sorella: Marie-Louise. Un'attrazione fatale, almeno per il padre dei lumi che si invaghì della nipote, ma non osò abbandonare la Du Chatelet.

Ma con quale magnifico legato, il Saggio sui costumi la onorò. Leggiamo nell' Italia del Settecento, Voltaire non aveva alcun specifica preparazione storica. Anzi, considerava la Storia una burla che i vivi giocano ai morti e diceva che essa serviva soltanto a dimostrare che nulla può essere dimostrato dalla Storia. Eppure fu il primo a scriverne una che, lungi dal limitarsi ai fatti della politica, la riconduceva alle cause morali e culturali.

Non si lasciò sgomentare dalla vastità dell'impegno.Una sintesi che abbraccia tutta la vicenda umana. E non soltanto quella della Francia e dell'Europa, ma anche dell'America e dell'Estremo Oriente, dagli albori della civiltà fino al suo secolo, e dalla difficoltà della documentazione. I particolari - diceva - interessano gli archivisti, i sottufficiali della Storia. «La data di una battaglia non conta nulla. Anzi, non conta neanche la battaglia. Quel che conta sono i motivi della battaglia».

E i suoi effetti sullo sviluppo del pensiero. Così, al posto dei re e dei generali, egli pone a protagonisti i profeti, i riformatori, i filosofi di cui si serve per ricondurre la Storia di tutti i popoli e di tutte le civiltà al suo eterno immancabile motivo: «La lotta della libera coscienza contro tutti i servaggi dell'autoritarismo e della verità rivelata». Il saggio ebbe un'eco clamorosa, dando la stura a polemiche roventi. Nessuno aveva mai osato tanto, abbattendo il tabù sacro dell'Europa, centro del mondo e suo unico, insindacabile teatro e tribunale delle vicende umane. Fuori dei suoi confini, nulla sembrava interessare agli abitanti, e nemmeno agli studiosi del vecchio continente, riservati in un orto conclusus.

Ma nel saggio c'era qualcosa di più: per la prima volta - e ci voleva un bel coraggio - uno storico denunciava l'azione disgregatrice esrcitata dal cristianesimo sulle ormai fatiscenti e dimissionarie istituzioni della società romana, già snaturata e profanata dalle invasioni barbariche, che ne avevano fatto terra di conquista e di rapina di goti, visigoti, longobardi.
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