Quei barman un po’ psicologi e confessori

di Marco Pasqua
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Lunedì 5 Maggio 2014, 07:37 - Ultimo aggiornamento: 07:38
Pi che preparare cocktail, Daniele diventato, negli anni, una figura che riunisce in s il ruolo del confessore e dello psicologo.



Professioni a lui totalmente estranee, almeno fino a quando non ha iniziato a intrattenere i clienti del suo bar, nel rione Monti. Sarà che l'alcol può aiutare – nei limiti del buon senso - a lasciarsi andare, fatto sta che il suo bancone è diventato negli anni un luogo che i clienti percepiscono come “sicuro”, al pari del lettino di uno psicoterapeuta.



Al barman si può dire tutto, perché, molto probabilmente, non lo si rivedrà mai più. Non giudica e se condanna qualcuno non è mai il suo interlocutore, piccoli trucchi della diplomazia da cocktail-bar. C'è quello che non fa altro che sfogarsi della moglie, e a Daniele verrebbe voglia di chiedergli perché non riesca a farsi coraggio e a voltare pagina, sapendo che la vita è troppo breve per essere tormentata dai rimpianti. C'è la studentessa che si lamenta del fatto che nessuno cerchi il vero amore, e Daniele, sotto sotto, capisce quegli spasimanti così carnali, ma preferisce tacere.



C'è l'anziano che in quel bicchiere trova conforto, e a Daniele sembra di rivedere il nonno. Racconti di ordinaria solitudine metropolitana, un piccolo esercito di persone che non trova conforto nei like di Facebook e che in Daniele scopre un ascoltatore paziente e sorridente. Ma fino a che punto? «Ognuno ha una storia da raccontare, a me piace immaginare di raccogliere frammenti di un puzzle senza cornice e fine», dice il barman. Che, quando torna a casa, è sempre un po' più pieno di pezzi di vita altrui.