IL TONFO
Ma Livio se ne va a soli 53 anni, senza moglie né figli, e in piena bancarotta. Francesco Valesio, nel Diario di Roma dal 1729 al '42, scrive: «Lascia debiti e grandi capitali»; i primi, dovevano essere assai più dei secondi. L'edificio era già in vendita, e subito se ne va; gli eredi cedono lo stesso titolo nobiliare, alcune chiese ormai scomparse con la villa di campagna a San Giovanni. Vanno a Napoli; ma dal 1750, non se ne sa più nulla. Rimangono il sogno interrotto del palazzo; una fontana a Frosinone, sempre di Specchi, in piazza Madonna della Neve; ed una a Prossedi, in ricordo di una visita del papa: per l'occasione, De Carolis fa perfino costruire una strada da Frosinone, percorsa dal «corteo di 92 calessi». L'edificio romano dell'uomo d'affari che era «il più chiacchierato del tempo», divenuto dei Gesuiti del Collegio romano, va in affitto a illustri personaggi.
NOBILI OSPITI
Ci vivono in tanti. Da monsignori a Ferdinando Fuga; al principe di Piombino, i Boncompagni-Ludovisi, allora i più ricchi in assoluto; al cardinale Vitaliano Borromeo. Poi, le 80 stanze diventano Ambasciata di Francia; del marchese Giacomo Simonetti; del cardinale François-Joachim de Pierre, conte de Bernis, che ne fa «il crocevia dell'Europa»: ambasciatore francese, era stato consigliere della marchesa de Pompadour e ministro degli Esteri di Luigi XV, che un anno dopo ne accetterà, però, le dimissioni, pur mai date; l'erede ne lo nomina Protettore degli affari di Francia alla Corte di Roma, e a palazzo si succedono banchetti e luminarie; qualcuno, lo chiamava «re di Roma»; un suo corteo era di 15 carrozze, e 22 domestici a piedi, otto paggi, 15 cocchieri, ben 30 postiglioni, otto paggi, dieci sagrestani, etc. etc.
ISTITUTI DI CREDITO
Facciamola breve: altre teste altolocate finché, nel 1908, il Palazzo diventa la sede del Banco di Roma, ed ora lo è dell'Unicredit. Già i Ludovisi, nel 1845, lo avevano dotato di una veranda, per assistere al Carnevale; ma la Banca, lo mette nelle mani di Pio Piacentini, che lo rende in parte liberty. Nel cortile resta una lapide: ricorda il colpo di cannone sparata dai francesi nell'assedio di Roma del 1849. Ma il luogo è coperto, e diventa un salone dell'istituto di credito. Rimane la splendida scala elicoidale di Specchi. E accanto, la Fontana del Facchino, di Jacopo del Conte e del 1580; anche se una relazione di Luigi Vanvitelli, nel 1751, la attribuisce perfino a Michelangelo. Forse, raffigura il facchino Abbondio Rizio, noto amante del vino; la scritta che lo affermava è però scomparsa nei vari traslochi. E non manca chi vi veda Martin Lutero, o un gesuita carcerato da Paolo V Borghese e che si avvelenò. Il Facchino è una delle «statue parlanti» (la più celebre è il Pasquino), a cui si addossavano epigrammi salaci, a volte sconci, e, s'intende, sempre anonimi. E resta l'antico nome del Corso, via Lata: oggi, però, è soltanto un vicoletto.