Roma, diecimila persone sole e recluse in casa. Quei fantasmi che non chiedono aiuto

Si tratta di persone, spesso professionisti, che hanno un’abitazione ma non si curano e non hanno rapporti sociali

Roma, diecimila persone sole e recluse in casa. Quei fantasmi che non chiedono aiuto
di Giampiero Valenza
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Sabato 7 Gennaio 2023, 00:20 - Ultimo aggiornamento: 00:37

Non è stato solo il Covid a far rintanare in casa Stefania (nome di fantasia, ndr), rimasta chiusa tra le sue quattro mura di un appartamento di Roma Sud. Esce per fare la spesa e per comprare giusto quello che le serve per sopravvivere. Campa di pensione, ha perso i contatti con i suoi familiari e incontrarla è davvero difficile. Schiva, non percepisce che c’è qualcosa che non va. È una delle circa 10.000 persone che dalla Caritas romana stimano tra quelli che fanno barbonismo domestico. In pratica, fanno i barboni in casa propria. Accumulano e mettono da parte, si trascurano, non si lavano, escono raramente, non hanno praticamente più rapporti sociali. Individuarli è davvero molto difficile.

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Luca Mordocca, della Caritas di Roma, ha il compito di coordinare tutta quella rete di volontari che cerca, in qualche modo, di aiutarli grazie a un’iniziativa messa su dal 2018 su stimolo del Dipartimento politiche sociali di Roma Capitale.

In cinque anni spiega, «sono circa ottocento le persone prese in carico, ma è davvero complesso individuarle. Ne stimiamo però tante in tutta la città, circa diecimila». «Non sono più solo gli anziani a vivere così. A seguire una vita da “tumulati in casa” possiamo stimare circa 10.000 romani». La buona pratica organizzata da Caritas e Campidoglio prevede un protocollo ben specifico che passa da un primo contatto che prevede, persino, la possibilità di parlare con queste persone anche con bigliettini sotto il portone di casa. Poi, quando acquisiscono un po’ di fiducia, si passa a servizi come piccoli sgomberi, pulizia, l’aiuto nell’igiene personale, gli accompagnamenti negli ospedali per le cure mediche. Ma avere quel rapporto di fiducia con chi pratica il barbonismo, proprio come Stefania, è molto difficile. L’abbiamo intercettata mentre esce da un supermercato, su segnalazione di un vicino che sa della sua sofferenza interiore.

«Mi piace “collezionare cose” e non le voglio buttare, tutto qui», dice la donna. Non vuole far vedere casa sua e così va via, vestita con sciarpa, cappello e cappotto pesante, con i capelli non curati, il viso stanco. «In cinque anni di attività abbiamo notato tante situazioni, tutte diverse - prosegue Mordocca - Ci sono tante persone precipitate in un baratro di solitudine per lutti, separazioni, perdite di lavoro, momenti complessi della vita». In questa galassia c’è anche chi compulsivamente accumula cose e ne riempie casa. «Nel IX municipio, ai ponti del Laurentino, c’era una persona che metteva da parte palloni da calcio, basket, baseball. Il suo sogno era quello di raccoglierli e di andare in Africa per donarli». Una storia dal cuore nobile, non un vero e proprio disturbo mentale. «Stava passando un momento difficile», continua il responsabile del progetto per la Caritas capitolina.

COME FARE

Spesso sono i familiari a chiedere aiuto, quando vedono che un loro nonno, una loro zia, una nipote, si chiudono nel loro mondo delle mura domestiche. La rete sociale, in questo caso è fondamentale. «Se si nota per esempio che c’è una persona che rifugge dalle relazioni sociali, che vive con un po’ di incuria, che preferisce non lavarsi, questi sono tutti campanelli d’allarme per i loro amici o parenti. Ed è qui che c’è bisogno di un supporto - prosegue Mordocca - Il Covid ha peggiorato le situazioni, il fenomeno è diventato trasversale: non riguarda i poveri ma anche liberi professionisti e professori. Tocca quartieri insospettabili, come Prati, San Giovanni, il centro, ma anche l’estrema periferia come Tor Bella Monaca». A piazza Vittorio, poco tempo fa, è morto un uomo, italiano, pensionato. «Non faceva nulla durante il giorno, aspettava noi per uscire. Era entrato in una crisi profonda dopo il suo pensionamento». Come Stefania, ci sono Patrizia, Maria, Isabella, Lionella. Storie diverse, raccontate in un video, “Assenza di presenza” che Caritas ha voluto realizzare con loro per dire che, comunque, dal tunnel della solitudine è possibile uscire.

giampiero.valenza@ilmessaggero.it

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