Lascia morire la compagna di polmonite, la testimone al processo: «L'aveva isolata dal mondo»

A processo per omicidio volontario

Lascia morire la compagna di polmonite, al processo la testimone: «L'aveva isolata»
di Giulio Pinco Caracciolo
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Lunedì 16 Ottobre 2023, 22:43 - Ultimo aggiornamento: 18 Ottobre, 08:47

«Sono andata a prendere mia nipote, aveva fame ed era molto agitata. Mi ha detto di essere rimasta sveglia tutta la notte perché in casa c’era qualcuno». Il racconto tra le lacrime della sorella della vittima ripercorre l’episodio del marzo 2020, il primo di una serie che, per la procura, hanno condotto alla morte una donna di 40 anni, stroncata da una broncopolmonite massiva bilaterale il 18 gennaio 2022. Una storia di vessazioni, maltrattamenti e umiliazioni perpetrate nel tempo. Imputato per omicidio volontario aggravato, davanti alla prima Corte d’assise di Roma, l’ex compagno della vittima, Fausto Chiantera di 43 anni. Lui, presente ieri in aula, l’avrebbe intrappolata in un vortice di droga, psicofarmaci e controllo psicologico e a nulla sarebbero valsi i tentativi dei familiari della donna di allontanarla dal suo carnefice. 

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La testimonianza


«Mi ricordo bene quella mattina perché era l’inizio del lockdown. L’ex compagno di mia sorella, in Francia per impegni di lavoro, mi ha chiesto di andare a prendere mia nipote perché lo aveva chiamato e sembrava molto scossa», ha dichiarato in aula la sorella della vittima ascoltata come teste «quando sono arrivata, ho trovato la bambina visibilmente provata perché aveva tentato più volte di svegliare la mamma senza mai riuscirci. Erano le 14. Secondo il racconto della piccola, mia sorella, che stava dormendo insieme a Chiantera, era in grado di dire solo qualche parola per poi ricadere in un sonno profondo». 
Una relazione, quella tra la vittima e l’imputato, iniziata solo da pochi mesi.

I due si conoscono a una festa a dicembre 2019, accomunati dalla passione per la musica techno. «La prima volta che ho conosciuto Chiantera - ha continuato la testimone - siamo andati a fare una passeggiata al parco del centro sociale La Torre, lui aveva portato anche il figlio di otto anni». Ed è proprio in quella occasione che la sorella le rivela la “passione” dell’uomo per le droghe e soprattutto per gli psicofarmaci – «Mi ha detto che Chiantera ne aveva di tutti i tipi e che utilizzava il Rivotril (benzodiazepina) per attenuare l’effetto delle droghe prima di andare a dormire».

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La vicenda 


Da quella passeggiata, la situazione sembra peggiorare rapidamente. La mattina del 9 marzo 2020 la sorella della vittima corre a prendere la nipote di 11 anni che le rivela di essere spaventata e di non essere riuscita a dormire «Mi ha detto di aver sentito la voce di un uomo e della mamma tutta la notte e poi di non essere riuscita a svegliarla alla mattina». Una situazione preoccupante che spinge fin da subito la donna ad intervenire: «Mi sono trovata di fronte una persona non lucida, rallentata nelle parole e nei movimenti. Era sotto effetto di psicofarmaci. E Chiantera era seduto in sala senza dire nulla, anche lui imbambolato che ridacchiava». Dopo questo episodio la vittima decide di trasferirsi a casa di Chiantera per tutto il periodo del lockdown. Da allora abbiamo avuto pochi contatti, solo in videochiamata «Era sempre spenta, perennemente sotto effetto di psicofarmaci – testimonia la sorella – aveva anche smesso di prendersi cura di se stessa». 


La morte


Le prime richieste di aiuto arrivano il 28 maggio 2020. La vittima non ha più il cellulare e sembra essere ormai soggiogata alla volontà di Chiantera che la trascina in un vortice di soprusi. Alti e bassi. Lei si allontana ma poi ritorna da lui. Fino all’8 gennaio 2021, quando la donna invia alla famiglia una foto: ha un occhio nero. Un mese dopo, il 10 febbraio, una seconda foto con il volto tumefatto. Vani i continui tentativi delle forze dell’ordine e della famiglia, lei dice di amare Chiantera e che si è fatta promettere che non accadrà più. Morirà dopo un droga party organizzato dall’imputato che non chiama i soccorsi, si legge nel capo d’imputazione, ma «si limita a buttarla a testa in giù dentro il vano doccia, spogliandola e mettendo in lavatrice i suoi vestiti, facendole poi assumere cocaina e sostanze psicotrope e lasciandola in uno stato di incoscienza e di agonia per più giorni e fino al decesso».

 

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