The Niro: «Troppi concerti, ho avuto una crisi e ora farò l'attore»

Parla il cantautore romano, che stasera festeggia i 15 anni di carriera all'Asino che vola. «Tutto iniziò sul palco di Amy Winehouse»

The Niro: «Troppi concerti, ho avuto una crisi e ora farò l'attore»
di Mattia Marzi
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Venerdì 11 Novembre 2022, 08:19 - Ultimo aggiornamento: 08:20

Che la sua carriera non sarebbe stata tutta rose e fiori Davide Combusti, in arte The Niro (era il nome della sua prima band, chiamata così per un tributo alla sua seconda grande passione, il cinema), lo aveva capito già il giorno in cui partì da Roma all'alba per raggiungere Milano, dove i discografici della Universal lo stavano aspettando per fargli firmare un contratto.

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The Niro, il cantautore romano diventa attore

All'altezza di Mondovì l'auto sulla quale Davide sta viaggiando insieme ai suoi musicisti comincia a rallentare. Dal cofano esce un fumo scuro: «Avevamo fuso la testata del motore. Continuai a spingere sul pedale dell'acceleratore. La posta in palio era troppo alta», ricorda oggi il 44enne cantautore, cresciuto tra Villa Gordiani e Capannelle e diventato negli anni una delle penne più apprezzate della scena indipendente italiana, stimato anche all'estero (Gary Lucas, il chitarrista di Jeff Buckley, nel 2019 lo ha scelto come voce del suo tributo al cantautore di Grace).

Stasera festeggerà i suoi quindici anni di carriera con un concerto all'Asino che Vola.


Quel giorno, a Milano, dopo aver firmato il contratto con la Universal, si ritrovò ad aprire il concerto di Amy Winehouse: in che condizioni arrivò sul palco?
«Pessime (ride).

Ho pochissimi ricordi di quell'esperienza, per lo più dei flash, talmente ero stravolto dagli eventi. Sul palco pensavo a tutt'altro: E mo' domani come torniamo a casa?».


Aveva in tasca un contratto per due dischi con una delle più importanti multinazionali della discografia, non era certo un problema.
«Vero. Anche per questo ero stravolto. Non mi sembrava vero. Fino a pochi mesi prima facevo lo speaker in una radio locale (Radio Spqr, ndr). Mi ero dato una scadenza: Se entro i 30 anni non svolto, mollo. Poi nello stesso giorno mi ritrovai a firmare il contratto e ad aprire per quella che era la star più chiacchierata a livello mondiale in quel momento: avevo 29 anni e 4 mesi». Amy la incontrò, nel backstage? «No, era inaccessibile. Quello era il momento della sua massima esposizione mediatica. Aveva già pubblicato Rehab».

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Come ci arrivò, a suonare prima di lei?
«Merito del passaparola. Un anno prima avevo cominciato a pubblicare i miei brani su MySpace (la piattaforma in voga all'epoca tra gli emergenti, prima dello streaming, ndr), da Liar a Marriage. Pezzi scritti in inglese, perché mi riusciva meglio. Qualcosa si era cominciato a muovere anche all'estero. L'agenzia che portava Amy Winehouse in Italia mi scelse».


La svolta sarebbe arrivata solo nel 2014, a coronamento di una lunga gavetta. Che ricordi ha della partecipazione al Festival di Sanremo tra i giovani con 1969?
«Ci andai per rendere orgogliosa di me mia madre, che stava combattendo tra la vita e la morte. In ospedale mi disse: Mi dispiace di non poter più venire a un tuo concerto. Le promisi che mi avrebbe visto su quel palco. E così fu».


Scaduto il contratto con la multinazionale proseguì da indipendente. Mai pensato di mollare?
«Mai. Però durante la pandemia ho vissuto una crisi di identità. Facevo 50 concerti ogni anno. Fortuna che mi hanno fatto comporre alcune colonne sonore. E ora, mentre lavoro al nuovo disco, mi preparo a debuttare da attore».


In quale film?
«Non posso svelarlo. Ho firmato degli accordi: se parlo, mi tolgono anche le mutande (ride). Uscirà a marzo. Il regista è un big».
Asino che Vola, via Antonio Coppi 12. Stasera, ore 21.

 

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